Diagnosticata epigastralgia, dopo poco decede per arresto cardiaco

0
epigastralgia-infarto

Viene addebitato comportamento negligente del medico del 118 che, in presenza di sintomi compatibili con infarto miocardico, eseguiva solo ECG e misurazione della pressione e formulava la diagnosi di epigastralgia.

Il caso

La vittima, verso l’ora di pranzo dell’8/1/2009, avvertiva un malore dopo aver bevuto un bicchiere d’acqua. Con pallore del viso, dolori diffusi al petto e sudorazione eccessiva, si recava presso la struttura Ausl 118, costituita da un punto di primo intervento, in località priva di ospedale e di pronto soccorso, dove veniva visitato dalla dottoressa di turno che eseguiva soltanto la misurazione della pressione arteriosa e l’elettrocardiogramma diagnosticando una epigastralgia.

Tornato a casa, nel pomeriggio l’uomo aveva un nuovo malore, veniva chiamata l’ambulanza verso le 17:20, il personale del 118 arrivava alle 18:30 e si trovava a dover constatare la morte del paziente per intervenuto arresto cardiaco.

I familiari addebitano l’evento alla condotta negligente della dottoressa del 118 la quale, pur ricorrendo una sintomatologia compatibile con un principio di infarto del miocardio, aveva solamente effettuato l’ECG e misurato la pressione arteriosa, esami non sufficienti ad escludere il fenomeno patologico in corso. Ritenevano, inoltre, che la stessa avrebbe dovuto eseguire ulteriori approfondimenti, in particolare un ECG non a tre ma a 12 derivazioni ed eseguire la misurazione dei marcatori biochimici.

Vengono chiamati in causa, quindi, oltre alla dottoressa del 118, Azienda Unità Sanitaria Locale n. 1 Abruzzo, Azienda Unità Sanitaria Locale di Rieti, Azienda Regionale Emergenza sanitaria – Ares 118 e Rieti Pronto Soccorso, onde ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla morte del paziente avvenuta l’8/172009.

La vicenda giudiziaria

Il Tribunale di Avezzano rigetta la domanda risarcitoria per mancanza di prova del nesso di causalità tra l’operato della dottoressa e il decesso del paziente, mancando la prova che l’arresto cardiaco fosse avvenuto per cardiopatia ischemica. I giudici ritenevano piuttosto provato il contrario, data la normalità del tracciato risultante dall’elettrocardiogramma eseguito.

Sempre nel giudizio di primo grado si accertava che la dottoressa della postazione di primo intervento del 118, aveva eseguito tutti gli esami pertinenti ai sintomi denunciati dal paziente che la strumentazione a sua disposizione le consentiva, e aveva invitato il paziente a recarsi in ospedale per ulteriori controlli che non potevano essere espletati presso quella postazione. Il paziente, invece, non solo non si recava in ospedale, ma proseguiva nelle sue normali occupazioni, di lavoro e familiari, recandosi anche a prendere il figlio a scuola nel pomeriggio.

La Corte d’appello conferma la decisione di primo grado e valutava il comportamento della vittima come idoneo ad interrompere ogni nesso causale tra l’attività della dottoressa e il decesso, assumendo alla scelta di non eseguire i consigliati controlli ospedalieri un’autonoma efficienza causale nella determinazione dell’evento dannoso secondo il criterio probabilistico.

Le infondate censure rivolte alla Corte di Cassazione

I congiunti si rivolgono alla S.C. e sostengono che i Giudici di merito avrebbero mal valutato, nel caso concreto, gli obblighi gravanti sul medico della struttura territoriale periferica del 118, che avrebbe dovuto disporre il trasferimento del paziente in un centro o in una struttura ospedaliera a fonte di un caso critico. Sostengono inoltre che la corte d’appello non avrebbe correttamente inquadrato i termini della questione, perché avrebbe dovuto verificare la sussistenza del nesso causale non tra il comportamento della dottoressa e l’infarto, ma tra il comportamento omissivo della dottoressa, conseguente alla sua errata diagnosi, e la morte del paziente.

Sostengono che, a fronte dei sintomi denunciati dal paziente, un comportamento diligente e conformato a perizia professionale, nonostante il battito cardiaco regolare e nonostante la pressione nella norma, elementi che di per sé non potevano escludere un infarto in corso, sarebbe stata l’esecuzione di una diagnosi differenziale, a mezzo di un elettrocardiogramma a 12 derivazioni e la sottoposizione del paziente a prelievo del sangue. Il paziente doveva essere quindi trasportato, o quantomeno efficacemente indirizzato, al più vicino pronto soccorso o in adeguata struttura ospedaliera dove compiere questi accertamenti.

Le suddette censure si risolvono, prevalentemente, in considerazioni in fatto, che presuppongono una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella a cui è approdata sia la Corte d’appello, che il Giudice di primo grado. Esse presuppongono, in sintesi, che si debba ritenere sussistesse la necessità del trasporto del paziente in ospedale, circostanza che, sulla base degli elementi di fatto acquisiti, la Corte d’appello ha escluso, come pure ha escluso che vi fosse un obbligo della dottoressa di attivarsi diversamente rispetto alla segnalazione al paziente della opportunità di espletare ulteriori accertamenti in ospedale, atteso che quelli a sua disposizione davano un panorama tranquillizzante, ma non erano comunque completi.

I punti di primo intervento

La ricostruzione dei compiti gravanti sulla dott.ssa effettuata dalla corte d’appello, è conforme alle norme di diritto e alle Linee guida pubblicate sul sito del Ministero della salute, che descrivono i “Punti di Primo Intervento” come presidi medici distribuiti omogeneamente sul territorio e con orario di attività articolato nell’arco delle 12 o 24 ore giornaliere secondo le esigenze locali, che dispongono di competenze cliniche e strumentali adeguate a fronteggiare e stabilizzare, temporaneamente, le emergenze fino alla loro attribuzione al Pronto Soccorso dell’Ospedale di riferimento ed in grado di fornire risposte a situazioni di minore criticità e bassa complessità.”

Pertanto, il comportamento tenuto dalla dottoressa era conforme ai suoi compiti come individuati dalle Linee Guida (che prevedono altresì:” Nei Punti di Primo Intervento non si effettuano ricoveri urgenti né si attivano procedure di accettazione in urgenza.”) : visitare il paziente, eseguire le analisi e gli accertamenti ritenuti opportuni eseguibili mediante la strumentazione a sua disposizione, indirizzare il paziente, se ritenutane l’opportunità, presso struttura sanitaria più attrezzata per completare la diagnosi.

Avv. Emanuela Foligno

Leggi anche:

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui