La Corte d’Appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, ha condannato RTI S.p.A. e il direttore della rete al risarcimento dei danni causati all’attore per diffamazione a causa delle dichiarazioni contenute in una trasmissione televisiva diffusa, nel settembre del 2013, sul Canale Mediaset Rete 4.
Nello specifico, i Giudici di appello, hanno ritenuto falsa e diffamatoria la notizia contenuta all’interno di un servizio televisivo con il quale si dava conto dell’acquisto, da parte della persona offesa, di un immobile da un ente pubblico a un prezzo particolarmente vantaggioso e, dunque, attraverso la fruizione di un sostanziale “privilegio”.
A fondamento della decisione i Giudici di secondo grado hanno rilevato come i convenuti avessero diffuso la falsa notizia dell’acquisto dell’immobile, da parte della coniuge della persona offesa, da una società pubblica (laddove, al contrario, tale immobile era stato acquistato da un privato), confidando superficialmente sulle risultanze dei dati catastali, senza approfondire doverosamente le indagini attraverso l’esame dell’atto pubblico di acquisto agevolmente consultabile presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari. In tali termini, pertanto, il requisito della verità putativa – astrattamente idoneo a legittimare l’esercizio del diritto di cronaca – doveva ritenersi del tutto assente, con la conseguente integrazione del carattere illecito della notizia diffamatoria così propagata.
L’intervento di rigetto della Cassazione
La rete televisiva soccombente sostiene che i Giudici di appello avrebbero erroneamente escluso l’applicazione dei principi in tema di verità putativa in relazione al documento (visura catastale) utilizzato dagli autori del servizio giornalistico andato in onda nella trasmissione televisiva. Rilevano che l’intestazione di un immobile a un determinato soggetto, sì come emergente dall’esame della documentazione catastale, farebbe sorgere una presunzione de facto in ordine alla veridicità delle relative risultanze e dunque a ingenerare un corrispondente incolpevole affidamento.
La Cassazione osserva che i Giudici territoriali hanno correttamente applicato i principi di diritto, ritenendo di dover accertare, ai fini dell’integrazione dei requisiti per il legittimo esercizio del diritto di cronaca, la condizione della c.d. “verità putativa” della notizia diffusa dai ricorrenti.
Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di esercizio del diritto di cronaca, il giornalista ha l’obbligo di controllare l’attendibilità della fonte informativa, a meno che non provenga dall’autorità investigativa o giudiziaria, e di accertare la verità del fatto pubblicato, restando altrimenti responsabile dei danni derivati dal reato di diffamazione a mezzo stampa, salvo che non provi l’esimente di cui all’art. 59, ultimo comma c.p., ossia la sua buona fede.
La verità putativa
A tal fine la cosiddetta “verità putativa” del fatto non dipende dalla semplice verosimiglianza dei fatti narrati, essendo necessaria la dimostrazione dell’involontarietà dell’errore, dell’avvenuto controllo – con ogni cura professionale, da rapportare alla gravita della notizia e all’urgenza di informare il pubblico – della fonte e della attendibilità di essa, onde vincere dubbi e incertezze in ordine alla verità dei fatti narrati.
I Giudici di merito hanno ritenuto che il giornalista, limitandosi al solo controllo dei dati catastali, senza estendere opportunamente l’esame alla consultazione dei registri immobiliari, si fosse sottratto a quell’obbligo di cura professionale, di serietà e di diligenza nella ricerca delle fonti della notizia, il cui rispetto avrebbe legittimato l’esercizio del diritto di cronaca.
Ebbene, tale valutazione, argomentata in maniera corretta, spetta istituzionalmente al Giudice di merito, la cui contestazione si risolve in una proposta di rilettura nel merito dei fatti di causa e delle prove, secondo un’impostazione critica non consentita in sede di legittimità (Cassazione civile, sez. III, 05/09/2024, n.23915).
Avv. Emanuela Foligno