Atti di bullismo su un bambino disabile a scuola, maestre condannate al risarcimento danni

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Il bambino vittima di bullismo, per effetto di una sofferenza perinatale, era affetto dalla nascita da paresi dell’arto inferiore sinistro, per la quale gli era stata riconosciuta l’invalidità civile nel 2012, avendo difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della sua età.

La vittima per tutto il periodo 2012/16 aveva in più occasioni subìto atti di bullismo, violenze fisiche e psicologiche dai compagni della scuola elementare, tanto da dover ricorrere anche alle cure mediche.

In particolare riportava un trauma contusivo al volto, a seguito dei calci sferrati da un compagno (episodio dell’11/12/14) e una frattura della mano destra (episodio del 17/05/16), oltre ad aver dovuto subire epiteti quale “handicappato” e “frocio”. Nel secondo episodio era stato colpito violentemente da un compagno, dagli altri compagni di classe, con spinte, calci e pugni tanto da farlo cadere a terra, con calci al busto, al volto, al fianco ed alla mano destra mentre era inerme al suolo. Nella circostanza aveva subito la torsione del polso e delle dita della mano e infine il trauma derivato dal fatto che l’aggressore si era gettato sulla mano con tutto il peso del suo corpo.

L’esposto alla Procura della Repubblica

I medici del Pronto Soccorso avevano contattato il Servizio Sociale Ospedaliero e inoltrato il verbale alla Procura della Repubblica.

Le violenze continuavano anche durante la frequenza della scuola media, in particolare durante la ricreazione e all’ingresso a scuola al mattino, dato che, a seguito di un’espressa e preventiva richiesta formulata dai genitori alla scuola media, la vittima non era stata inserita nella classe che avrebbero frequentato i compagni delle elementari, rei di averlo bullizzato in precedenza.

Nel settembre 2017, a seguito di episodi di aggressività nei confronti del fratello minore, di recriminazioni verso i genitori, d’ansia, d’irritabilità e di accessi di rabbia di notevole entità, al ragazzo veniva diagnosticata una sofferenza psichica, segnatamente per “disturbo dell’adattamento persistente, con alterazione mista dell’emotività e della condotta, correlato agli eventi traumatici subiti ed alle modalità di gestione dell’accaduto da parte degli adulti responsabili (per la mancanza di protezione, supporto, conforto)”. Anche il rendimento scolastico alla scuola media era scaduto.

I genitori, nell’ambito della vicenda giudiziaria, lamentano che gli episodi di violenza si erano ripetuti nel tempo, senza che gli insegnanti e il personale scolastico, nonostante le loro ripetute e sofferte segnalazioni, avessero esercitato qualsivoglia controllo e protezione. Dunque la loro richiesta di risarcimento per tutti i danni, anche patrimoniali (spese mediche specialistiche, rinunce del padre ad occasioni di maggior guadagno), subiti, è di complessivi €44.998 per il ragazzo ed in €30.000 per i genitori stessi.

La vicenda giudiziaria

Il Tribunale di Grosseto (sent. 2446/2021) accoglie la domanda risarcitoria proposta dai genitori del ragazzino per episodi di bullismo e per lesioni subiti dal figlio nell’Istituto scolastico comprensivo. I giudici di primo grado condannano i convenuti a corrispondere alla vittima l’importo di €45.000 e quello di €30.000 congiuntamente ai genitori. Condannava inoltre i convenuti ad indennizzare gli attori con ulteriori €20.000 ai sensi dell’art. 96, co. 3, cpc.

Seguendo l’interpretazione giurisprudenziale e di merito della disciplina in tema di responsabilità dei precettori per i danni causati dai loro alunni, fondata sul duplice interesse di proteggere la popolazione scolastica e di garantire lo scopo educativo della scuola, il primo Giudice, basandosi sulle testimonianze e sulle denunce di sinistro degli insegnanti, accertava l’omessa sorveglianza degli alunni, negando ricorressero condotte, tanto repentine ed imprevedibili nel contesto dato, da rendere inevitabili le lesioni e incolpevole la condotta del corpo docente.

La liquidazione del danno biologico

Il primo Giudice, per quanto concerne il quantum liquidato, ha ritenuto ultronea una CTU medico-legale sulla vittima e ha finanche dato atto che quanto liquidato fosse addirittura sottostimato, attesa la ripetizione delle condotte di denigrazione e di violenza, “anche a prescindere dai due episodi più gravi”.

La liquidazione del danno biologico ha tenuto conto dell’entità del disagio psicologico del ragazzo, comprovato in sede testimoniale dai suoi propositi di suicidio, nonché dal suo volontario isolamento e delle certificazioni del Pronto Soccorso, dalle quali, in uno con alcune testimonianze escusse, potevano evincersi anche le pregresse lesioni subite. Quanto ai genitori, dalle testimonianze è emersa la sofferenza morale da essi patita per un periodo di lunga durata, comunque evincibile dall’id quod plerumque accidit, per aver vissuto con frustrazione e senso d’impotenza le violenze subite dal figlio, atteso che erano rimaste inascoltate le loro richieste di protezione rivolte al personale scolastico.

Il ricorso in Appello

Le parti soccombenti impugnano la decisione di primo grado argomentando di una insussistenza della culpa in vigilando della scuola, poiché le circostanze del caso concreto (il normale svolgimento della ricreazione, l’età non giovanissima degli alunni, la presenza vigilante degli insegnanti), che incidono per giurisprudenza nella valutazione della condotta degli insegnanti, così come emerse dall’istruttoria e, in particolare, dalle relazioni scritte delle insegnanti e dalla loro conferma in sede testimoniale, concorrono nel ritenere repentino ed imprevedibile l’evolversi della disputa tra gli alunni, nella quale non aveva avuto un ruolo meramente passivo la stessa vittima ai sensi dell’art. 1227 c.c., in relazione alla quale doveva piuttosto imputarsi ad una culpa in educando dei genitori l’incapacità del ragazzo di comportarsi in maniera civile.

Viene censurata, infine, l’applicazione dell’art. 2048 cc a presunte vessazioni subite anteriori all’11/12/14, perché totalmente indimostrate e addirittura in contrasto con la relazione della psicoterapeuta, che attribuiva il disagio della vittima conflitti familiari, piuttosto che a dissidi scolastici per cattivi rapporti con i compagni di scuola.

L’appello è infondato e i Giudici di appello ritengono sussistente la responsabilità del corpo insegnanti per omessa sorveglianza e condividono le conclusioni del primo Giudice sul punto.

La ricostruzione degli atti di bullismo

Una delle docenti (il riferimento è all’aggressione del maggio 2016) ha dichiarato “quando si fece male io ero presente ma con un’altra classe in giardino e c’erano tante classi in giardino e ho visto che l’evento si verificò in un gruppettino di bambini che confabulavano”.

Dunque prima che si scatenasse la violenza ai danni della vittima, che si trovava in quel gruppettino, e in stato di minorata difesa, era palese una situazione pericolosa che andava monitorata ancor di più, visti i continui episodi di bullismo ai quali il minore veniva ripetutamente sottoposto anche a prescindere dai due casi più gravi.
Il fatto che l’evento sia accaduto in giardino “durante l’intervallo” non esclude, ma anzi rafforza, la colpa invigilando delle insegnanti; gli insegnanti al contrario avrebbero dovuto sorvegliare massimamente i minori per il maggior pericolo derivante da attività all’aperto, in particolare tenuto anche conto della minorata difesa della vittima, affetto da deficit motori, e tenuto conto dei precedenti atti di violenza e scherno che aveva subito a cagione della sua disabilità.
Pertanto, essendo in tre le insegnanti nel giardino della scuola, è inescusabile quanto accaduto quel giorno, dove un bambino con disabilità viene schernito, buttato a terra e preso a calci ripetutamente nell’indifferenza di chi avrebbe dovuto proteggerlo. Nessuna delle tre insegnanti è intervenuta nel corso di questa escalation di violenza, il cui esito finale era sia prevedibile che evitabile. Le insegnanti sarebbero dovute intervenire prontamente al gruppetto turbolento per vietare che la vittima, affetta da monoparesi arto inferiore sinistro, venisse così impunemente dapprima schernito da altri alunni che gli davano dell’“handicappato” e del “frocio”, deriso davanti ai compagni e alle compagne, già sofferente per essere diversamente abile, poi atterrato e poi ancora colpito ripetutamente con calci anche quando era a terra, fino a fratturargli la mano, da lui anteposta nel tentativo di parare i colpi.

Il ruolo educativo di scuola e insegnanti

La scuola, sottolinea la Corte, per il suo ruolo educativo e protettivo avrebbe dovuto impedire questa violenza, e non è ipotizzabile in questo caso alcuna repentinità delle condotte, l’imprevedibilità e inevitabilità delle lesioni.

È da escludere che dei bambini dell’età di 10 anni abbiano una maturità ed una capacità di autocontrollo tale da evitare che da un diverbio animato si possa trascendere, fino alla violenza.

Ad ogni modo, il dato dirimente è costituito dal fatto che le insegnanti sono intervenute quando ormai l’episodio si era verificato, tanto che si sono dovute rivolgere ai bambini presenti, per farsi riferire dell’accaduto. Può dirsi, quindi, che non si erano accorte dell’evento, segno evidente che erano quantomeno distratte.

Sull’episodio di violenza del dicembre 2014, l’insegnante sentita come teste ha ammesso che in occasione di quel grave episodio in cui la vittima venne presa a calci anche al volto, era completamente assente dall’aula “quando i bambini facevano lo zaino io ero andata un attimo in bagno a lavarmi le mani”. Ebbene, ciò denota grave negligenza ed è comportamento inescusabile perché in quel momento massima doveva essere l’attenzione dell’insegnante, atteso che i ragazzini uscivano dai banchi ed entravano tra loro in contatto fisico particolarmente eccitati per la fine di tutte le lezioni del giorno.

Anche questo episodio rappresenta inequivocabilmente l’inadempimento degli incaricati scolastici a quel dovere di protezione e sorveglianza espressamente sancito a loro carico dall’art. 61 legge 312/1980 non essendovi dubbi sul fatto che i comportamenti descritti, avvenuti in classe, avrebbero dovuto essere certamente neutralizzati dall’insegnante presente in aula durante le operazioni di preparazione degli alunni per l’uscita dall’aula.

Infine, sull’invocato concorso colposo degli attori nella causazione del danno ex art. 1227 c.c., i Giudici affermano essere evidente che nulla possa essere loro contestato, avendo essi lamentato, segnalato e denunciato con tutti i mezzi a loro disposizione quanto stava avvenendo in danno della vittima, tanto da rappresentarlo alle insegnanti, da chiedere di parlare con la dirigente, da rappresentarlo alla riunione collettiva con i genitori (il tutto confermato dalla fase istruttoria).

Per completezza espositiva, anche in punto di quantum i Giudici di appello ritengono corretto l’operato del Tribunale (Corte d’Appello Firenze – sentenza 19 agosto 2024, n. 1446).

Avv. Emanuela Foligno

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