Diffusione illecita di dati personali: la natura permanente del reato

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diffusione illecita dati personali

La diffusione illecita di dati personali è un reato permanente, in quanto si caratterizza per la continuatività dell’offesa derivante dalla persistente condotta volontaria dell’agente

La vicenda

La Corte d’appello di Catania aveva confermato la condanna dell’imputato alla pena ritenuta di giustizia e al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile, avendolo ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 81 c.p. e D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 167 (“diffusione illecita di dati personali”), per avere utilizzato, ad insaputa della vittima, i suoi dati personali in una chat erotica.

La sentenza è stata confermata dalla Cassazione. In particolare, i giudici del Supremo Collegio hanno osservato che il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 167, nel testo vigente ratione temporis, incriminava la condotta di chi, al fine di trarre per sè o per altri profitto o di recare ad altri un anno, procedesse al trattamento di dati personali, in violazione di quanto disposto dagli artt. 18, 19, 23, 123, 126 e 130, ovvero in applicazione dell’art. 129. L’art. 4, comma 1, lett. b) del medesimo D.Lgs. nel testo allora vigente identificava il dato personale come qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili anche indirettamente; la precedente lett. a) identificava, per quanto qui rileva, il trattamento come qualunque operazione o complesso di operazioni concernenti la comunicazione e la diffusione di dati (le nozioni sono oggi rispettivamente riprodotte, in termini sostanzialmente sovrapponibili, ai fini del presente procedimento, nei numeri 1 e 2 dell’art. 4 del regolamento (Ue) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, richiamato nell’attuale D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 1.

La natura del reato di diffusione illecita di dati personali

Ciò posto, l’attività di diffusione, – hanno chiarito gli Ermellini – deve intendersi come la conoscenza dei dati fornita ad un numero indeterminato di soggetti (v., ora, il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 2-ter, comma 4, lett. b); all’epoca dei fatti, la nozione era contenuta nel D.Lgs. cit., art. 4, comma 1, lett. m).

Secondo una distinzione da tempo recepita dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, n. 4393 del 04/12/2018) i reati istantanei sono quelli nei quali l’azione antigiuridica si compie e si realizza definitivamente col verificarsi dell’evento, cosicchè in tale momento il reato stesso viene ad esaurirsi. Sono permanenti, invece, i reati in cui, nonostante il realizzarsi dell’evento, gli effetti antigiuridici non cessano, ma permangono nel tempo per l’impulso della intenzionale condotta dell’agente.

Tanto premesso, è stato osservato che la condotta di diffusione, in quanto programmaticamente destinata a raggiungere un numero indeterminato di soggetti, si caratterizza per la continuatività dell’offesa derivante dalla persistente condotta volontaria dell’agente (che ben avrebbe potuto rimuovere i dati personali resi ostensibili ai frequentatori del social network).

La consumazione del reato

Ne discende che l’illecito, perfezionatosi nel momento di instaurazione della condotta offensiva, può ritenersi consumato, agli effetti di cui all’art. 158 c.p., comma 1, dal giorno in cui è cessata tale la permanenza.

Ad ogni modo, la Corte di Cassazione (Terza Sezione Penale, n. 45265/2019) ha rigettato il ricorso perché inammissibile, confermando la decisione condanna.

La redazione giuridica

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