L’avvocato non può invocare la tutela della privacy qualora il giudice neghi la richiesta di legittimo impedimento perché il certificato medico non contiene l’esatta indicazione della patologia dalla quale risulti affetto

La Corte di Appello di Perugia aveva confermato la sentenza emessa dal giudice di primo grado con cui le imputate erano state condannate alla pena di giustizia per il reato di concorso in furto aggravato. Per la cassazione della sentenza entrambe avevano proposto ricorso affidandosi allo stesso difensore di fiducia, il quale aveva dedotto la violazione dell’art. 420-ter c.p.p., in materia di legittimo impedimento a comparire.

Il difensore aveva infatti presentato certificazione medica attestante un proprio impedimento, chiedendo un rinvio di udienza, ma il giudice di primo grado aveva rigettato l’istanza, ritenendola non sufficientemente motivata e la Corte d’appello, aderendo a tale valutazione, aveva rigettato il gravame.

Secondo il legale, la mancata indicazione, nel certificato da parte del medico, delle patologie poste a fondamento del suo impedimento era volta a tutelare il suo diritto alla riservatezza, che sarebbe stato altrimenti violato.

Ma i giudici della Quinta Sezione Penale della Cassazione (sentenza n. 8415/2020) hanno rigettato il ricorso perché infondato.

Ed invero, il certificato medico, prodotto dal difensore, contenente l’attestazione di temporanea inabilità al lavoro per ricovero ospedaliero, con prognosi fino al 23/04/2015, non risultava accompagnata da alcuna specifica indicazione della patologia, nè attestava esplicitamente un impedimento assoluto, nè, infine, documentava se alla data del 22/04/2015 il predetto fosse ancora ricoverato.

Al riguardo, la giurisprudenza della Suprema Corte ha più volte affermato che nella valutazione della legittimità dell’impedimento, il giudice di merito deve essere posto nella condizione di verificarne la sussistenza, ossia la sua fondatezza, serietà e gravità, nonché la circostanza che lo stesso determini un’impossibilità assoluta.

Già nel 2005 le Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 36635 del 27/09/2005), in riferimento ad impedimento dell’imputato, ma con argomentazioni valide anche per la valutazione dell’impedimento del difensore, avevano sancito “come si possa pervenire ad un giudizio negativo circa l’assoluta impossibilità a comparire solo disattendendo, con adeguata valutazione del referto, la rilevanza della patologia; il che, evidentemente, presuppone una informazione completa ed esauriente circa la connotazione della patologia e la prognosi della stessa”.

La tutela della privacy

Profilo ulteriore e complementare – hanno aggiunto gli Ermellini – è quello relativo alla invocata tutela della privacy del difensore, “posto che la valutazione del carattere assoluto dell’impedimento e la sua attualità non possono essere in alcun modo ostacolate dalle disposizioni a tutela della privacy, le quali sono funzionali alla garanzia, in ambito sanitario, che il “trattamento dei dati personali” si svolga nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali, nonché della dignità della persona fisica, con particolare riguardo alla “riservatezza” ed “all’identità personale”. Ciò evidenzia come le relative disposizioni mirino a tutelare il paziente, e non possano essere eccentricamente invocate in tutti i casi in cui sia proprio questi a richiedere la certificazione medica che ne attesti lo stato di salute onde avvalersene per gli usi che liberamente intende fare, quale quello di esibizione in sede giudiziaria per dimostrare il proprio impedimento a comparire in udienza” (Sez. 5, sentenza n. 43373 del 06/10/2005).

Insomma, l’indicazione della patologia dalla quale risulti affetto il difensore è necessaria per consentite al giudice di valutare la legittimità dell’impedimento.

Per queste ragioni, il ricorso è stato rigettato con conseguente condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

La redazione giuridica

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