L’illecito aquiliano che abbia cagionato, quale conseguenza, un danno da lesione di un diritto di credito obbliga l’autore al risarcimento del danno, a nulla rilevando che questo sia stato causato con colpa o dolo

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 31536 del 6 dicembre 2018, relatore dott. Marco Rossetti, ha stabilito che l’illecito civile extracontrattuale, che abbia avuto come effetto la lesione di un diritto di credito, obbliga l’autore del fatto al risarcimento del danno, a nulla rilevando che il danno medesimo sia stato causato da colpa o da dolo.

Il ricorso è affidato ad un unico motivo che contiene, in realtà, plurime censure.

Gli Ermellini ritengono erronea la statuizione della Corte territoriale che, nel caso in esame, aveva ritenuto che il danno derivante da lesione del diritto di credito possa essere risarcito unicamente se commesso con dolo.

Ma la lesione del diritto di credito quando è risarcibile con riferimento all’elemento soggettivo?

Per la Cassazione l’illecito aquiliano può consistere nella lesione di un diritto assoluto, di un diritto relativo, di un interesse legittimo e di qualsiasi interesse preso in considerazione dall’ordinamento (Cass., SS.UU. n. 500/1999).

Tanto è vero che nessuna distinzione in materia, è introdotta dall’art. 2043 c.c. per ciò che attiene l’elemento soggettivo fra i diversi tipi di illeciti.

Ciò significa che saranno pertanto risarcibili:

1)      Il danno consistito nella lesione di un diritto soggettivo assoluto causato con dolo o colpa;

2)      Il danno consistito nella lesione di un diritto di credito causato con dolo o colpa;

3)      Il danno consistito nella lesione di un interesse giuridicamente rilevante se causato con dolo o colpa.

Questo principio, in verità, era già stato più volte affermato dalla Suprema Corte. Si ricordano ad esempio, la sentenza n. 174 del 1971, con riferimento al danno da lesione del credito patito dal creditore a seguito dell’uccisione del debitore; la sentenza n. 11695 del 2018 che attiene al danno da lesione del credito di regresso del fideiussore, scaturito dall’abusiva erogazione di credito al debitore principale ed infine, la decisione n. 2844 del 2010 relativamente al danno da lesione del credito del datore di lavoro, scaturito dall’invalidità del lavoratore causata da un terzo.

Gli Ermellini, di conseguenza, nell’interesse della legge, ribadiscono il seguente principio di diritto:

L’illecito aquiliano che abbia avuto per effetto la lesione di un diritto di credito obbliga l’autore al risarcimento del danno, a nulla rilevando che questo sia stato causato con colpa o dolo.

Altro interrogativo cui deve rispondere la Suprema Corte nell’esaminare la sentenza impugnata è quello relativo alla sussistenza del nesso causale tra la condotta ed il danno.

Sul punto gli Ermellini osservano, in primis, che lo stabilire se vi sia o meno nesso di causa tra una determinata condotta ed un danno è un accertamento di fatto, riservato al giudice del merito e non sindacabile in sede di legittimità (ex plurimis, Cass., n. 4439 del 2014).

Inoltre, ai fini dell’accertamento del nesso di causa non rileva che l’attore abbia domandato il risarcimento di un danno emergente o di una perdita di chances.

Ed infatti, anche tra la condotta illecita e la perdita di chances deve sussistere un nesso di causa, così come è richiesto anche tra la condotta illecita ed il danno emergente.

Tale nesso va accertato con gli stessi criteri in entrambi i casi.

Con riferimento alla perdita di chance, infatti, ciò che può essere incerto è il risultato utile sperato che si è perduto, e non invece il nesso tra la condotta illecita e la perdita della speranza (Cass., n. 5641 del 2018).

E la prospettazione in termini di perdita di chance deve essere eccepita nel giudizio di primo grado e non formulata per la prima volta in grado di appello.

Ma per gli Ermellini, stabilire se la condotta sia stata tenuta con o senza mala fede è questione, per un verso estranea alla ratio decidendi e, per altro, irrilevante ai fini del decidere. Ed infatti, anche se la condotta fosse stata tenuta in mala fede, la ritenuta insussistenza del nesso di causa tra essa ed il danno ne avrebbe escluso la rilevanza giuridica.

In base alle su esposte argomentazioni la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

Avv. Maria Teresa De Luca

 

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