Dissenso dell’anestesista alla prosecuzione dell’intervento sul neonato

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Il dissenso dell’anestesista alla prosecuzione dell’intervento dopo aver considerato il contenuto della cartella clinica (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 23 aprile 2025, n. 10725).

Il medico anestesista viene chiamato a giudizio, con altri sanitari, dai familiari del neonato danneggiato in relazione ad un intervento a cui aveva partecipato.

Il giudizio si concludeva con la condanna del medico, in solido con altri, ad un ingente risarcimento dei danni. In quel giudizio non veniva accolta la tesi difensiva fondata sul dissenso dell’anestesista alla prosecuzione dell’intervento in ragione della fede privilegiata riconosciuta alle contrarie risultanze della cartella clinica, rispetto alla quale non era stata avanzata querela di falso in alcuno dei due gradi.

In seguito il medico agiva contro la Assicuratrice Milanese S.p.A. per ottenere l’accertamento dell’operatività della polizza assicurativa della responsabilità civile e la condanna della compagnia alla manleva. Il Tribunale di Milano accoglieva in parte la domanda del medico e respingeva quella dell’assicurazione. La Corte di appello, successivamente, confermava appieno il primo grado.

Il dissenso dell’anestesista e la carenza e gli errori della difesa tecnica

Il Giudice di appello ragionava nei seguenti termini: “A giudizio di Assicuratrice Milanese, la carenza e gli errori della difesa tecnica nel giudizio d’appello, relativo all’accertamento della responsabilità medica, rileverebbero ai sensi dell’art. 1914 c.c., quale condotta posta in essere in violazione dell’obbligo di salvataggio che incombe sull’assicurato. Dal momento che la difesa della anestesista non ha proposto, erroneamente, querela di falso, omettendo di porre in essere quelle condotte di salvataggio rappresentate da una corretta difesa dei propri diritti in causa, l’assicurata avrebbe con ciò pregiudicato anche i diritti della compagnia. La censura di parte appellante non appare meritevole di essere accolta, per le seguenti ragioni: sul punto, occorre evidenziare che l’art. 1914 comma 1 c.c. recita testualmente: “L’assicurato deve fare quanto gli è possibile per evitare il danno”.
“La violazione dell’obbligo di salvataggio, di cui all’ art. 1914 c.c., è ravvisabile solo nel caso in cui l’assicurato eviti di tenere una condotta, successiva alla stipula del contratto, commissiva od omissiva, idonea a prevenire il danno o a ridurne gli effetti. A riguardo, giova precisare che il “danno” a cui si riferisce il dettato dell’art. 1914 c.c. è da intendersi quale evento dannoso cagionato dall’assicurato al terzo. In altri termini, l’obbligo di salvataggio ex art. 1914 c.c. si riferisce a tutti quei comportamenti in forza dei quali l’assicurato deve fare quanto gli è possibile per evitare il danno, ossia l’insorgenza del danno concreto al terzo danneggiato; comportamenti che, inserendosi in un rapporto causale, siano tali da impedire la produzione in tutto o in parte dell’evento dannoso che colpisce il terzo”.

La violazione degli obblighi di salvataggio

Da tali argomentazioni i Giudici di merito non hanno ravvisato violazione degli obblighi di salvataggio ex art. 1914 c.c. da parte del medico anestesista atteso che il danno cagionato al minore si è verificato e cristallizzato all’esito dell’intervento chirurgico, effettuato in data 24/8/2005.

Quindi, gli asseriti “errori di difesa tecnica”, successivi al verificarsi del danno permanente sul minore non si inseriscono nel rapporto causale del danno al terzo e, conseguentemente, non possono essere considerati quali fatti giustificativi della perdita, né integrale né parziale, del diritto all’indennizzo per l’anestesista.

Ad ogni modo, la S.C. condivide quanto argomentato dal Giudice di merito, laddove ha evidenziato come il pregiudizio, invocato dall’assicurazione per gli asseriti errori di difesa tecnica nel giudizio di appello, è imputabile anche al contegno della stessa compagnia di assicurazione.

L’assicurazione invoca l’intervento della Corte di Cassazione

Censura che la Corte di merito avrebbe ritenuto che l’art. 1914 c.c. non imponesse alla anestesista alcuna diligenza nella articolazione delle proprie difese legali, essendosi il danno al paziente già verificatosi e cristallizzatosi con l’esito infausto dell’intervento chirurgico. Censura, anche, l’a corretta applicazione dell’art. 1914 c.c.

Le ragioni invocate dall’assicurazione sono fondate.

Risulta, in primis, pacifico che, pur non attenendo direttamente al fatto illecito addebitabile al danneggiante assicurato, le spese sostenute da quest’ultimo per resistere alla pretesa del danneggiato “rientrano nel genus delle spese di salvataggio (art. 1914 cod. civ.), in quanto sostenute per un interesse comune all’assicurato ed all’assicuratore”.

Ciò inficia la correttezza della sentenza di appello, ancorché riferita soltanto alle spese di resistenza, mina la correttezza della sentenza impugnata, che ha espressamente escluso che la controversia tra il danneggiato e il danneggiante possa in qualche modo concernere l’obbligo di salvataggio prescritto dall’art. 1914 c.c. Secondo il giudice d’appello, la menzionata disposizione riguarderebbe soltanto la produzione del danno risarcibile e, dunque, non consentirebbe di configurare l’obbligo alle spese di soccombenza in relazione alla difesa processuale dell’assicurato.

Obbligo di salvataggio anche nella fase contenziosa del risarcimento

Invece, vale il principio che il danneggiante assicurato, anche nell’ambito dell’azione promossa nei suoi confronti dal danneggiato, ha l’obbligo (ex art. 1914 c.c.) di compiere quanto gli è possibile per evitare o diminuire il danno, il quale viene determinato nell’an e nel quantum proprio in esito alla predetta controversia.

Viene richiamata precedente giurisprudenza, secondo cui “mentre il dovere di evitare il danno si concretizza in un contegno commissivo od omissivo che si colloca utilmente nella fattispecie potenzialmente causativa del danno, valendo ad evitarlo, quello di diminuire il danno si riferisce ad un’azione od omissione che, inserendosi nella serie causale successiva al verificarsi del pregiudizio, ne impedisce la crescita ulteriore” (Cass. Sez. 3, 21/07/2016, n. 14992, Rv. 641273-01). Del resto l’obbligo di salvataggio potrebbe persino consistere nel dovere del danneggiante assicurato di astenersi dalla resistenza nel giudizio promosso contro di lui dal terzo danneggiato, qualora da tale difesa non possa ricavarsi alcun beneficio (Cass. Sez. 3, 19/03/2015, n. 5479, Rv. 634662-01), da cui si trae un’ulteriore conferma che le condotte relative al giudizio tra danneggiato e danneggiante rientrano nell’ambito applicativo dell’art. 1914 c.c.

Stabilire che l’obbligo ex art. 1914 c.c. incombe sull’assicurato anche nella conduzione della controversia, è un accertamento in fatto che esula dal giudizio della Corte di Cassazione.

Doppia conforme e censura di falsa applicazione

Per il resto, siamo in presenza di una “doppia conforme” e la censura di falsa applicazione dell’art. 1914 c.c. è fondata.

La condotta della assicurazione avrebbe potuto assumere rilievo determinante soltanto nell’ipotesi di difesa tecnica totalmente gestita dalla società assicuratrice, non già in un caso in cui l’appello era stato autonomamente avanzato dall’assicurata con propri legali di fiducia, e non certo in ragione del mancato dispiegamento di un intervento adesivo alle ragioni della anestesista.

Neppure rileva la circostanza che le modalità di espletamento dell’attività difensiva nel corso del giudizio siano rimesse alle valutazioni tecniche del legale, visto che, in ogni caso, il cliente risponde in tutto e per tutto, nei confronti di coloro che sono terzi rispetto al rapporto professionale, della condotta tenuta in suo nome e per suo conto dal professionista da lui incaricato.

Ergo sulla errata applicazione dell’art. 1914 c.c. la sentenza di secondo grado viene cassata.

Osservazioni e principio espresso dalla Cassazione

Innanzitutto, a chi scrive, è parso del tutto assennato il ragionamento svolto dalla S.C. sulla corretta applicazione dell’art. 1914 c.c. assai “demonizzata” dalle assicurazioni per ovvie ed evidenti ragioni di opportunità.

La decisione di appello viene cassata dalla Cassazione che si è basata sul seguente principio di diritto:

“L’obbligo di salvataggio ex art. 1914 c.c. incombe sul danneggiante assicurato per la responsabilità civile anche nella conduzione della controversia promossa nei suoi confronti dal danneggiato (volta proprio a determinare l’an e il quantum del pregiudizio da risarcire) e l’adempimento del dovere di compiere quanto è possibile per evitare o diminuire il danno dev’essere esaminato in base al canone della diligenza del buon padre di famiglia in relazione alla difesa svolta rispetto alla pretesa risarcitoria, anche se l’attività di salvataggio non ha sortito buon esito”.

Come si può agevolmente notare, il punto dirimente del rispetto degli obblighi contrattuali del “danneggiante” è quello di avere compiuto diligente la prestazione professionale, e di fare tutto quanto è possibile per evitare il danno (in ciò pare sovrapporsi anche l’obbligo di diligenza governante l’art. 2043 c.c., non solo quello della responsabilità contrattuale).

In tutto ciò è del tutto ininfluente l’esito “del salvataggio”.

Avv. Emanuela Foligno

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