Per i Giudici il dissuasore era presente nella piazza da molto tempo e l’attrice avrebbe potuto “ragionevolmente” conoscere le condizioni dei luoghi: dunque, nessun risarcimento
In tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227 c.c., comma 1, richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 della Costituzione. Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 12416/2020 pronunciandosi sul ricorso di una automobilista che aveva agito in giudizio nei confronti del Comune di residenza, esponendo che, mentre effettuava una manovra di parcheggio per posizionare il veicolo all’interno del posto auto, urtava un dissuasore di sosta non munito delle dotazioni di legge, non visibile e posto a pochi centimetri dalla linea di delimitazione del posto auto; per tale motivo chiedeva un risarcimento del danno pari a mille euro.
In primo grado il Giudice di pace escludeva la sussistenza di una situazione di pericolo occulto, evidenziando che il dissuasore era presente nella piazza da molto tempo e che l’attrice avrebbe potuto “ragionevolmente” conoscere le condizioni dei luoghi, giacché era autorizzata a parcheggiare in tale piazza; inoltre, il dissuasore era posizionato su una zona zebrata, sulla quale era inibito, sia il transito, che la sosta, e ciò rendeva irrilevante che tale ostacolo non fosse munito della prescritta autorizzazione.
Il Tribunale, pronunciandosi in sede di appello, confermava la decisione del Giudice di prime cure rilevando che, quando la situazione di pericolo è prevedibile e superabile con le normali cautele da parte del danneggiato, il comportamento di quest’ultimo assume valore decisivo ai fini della verificazione dell’evento.
Anche la Cassazione ha ritenuto infondati i motivi del ricorso proposto dall’attrice.
Gli Ermellini hanno rilevato come il Tribunale avesse escluso la sussistenza del nesso causale ai sensi dell’art. 2051 c.c. sulla base di una valutazione fattuale fondata su due elementi: la visibilità dei dissuasori e la conoscenza dello stato dei luoghi da parte della donna. Il Giudice a quo aveva fatto corretta applicazione del principio secondo cui, “quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento – come nel caso di specie-interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro”.
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