In capo alla ricorrente vi è un disagio psichico, ma non una patologia importante effetto di mobbing e oggetto di risarcibilità (Tribunale di Taranto, Sez. Lavoro, Sentenza n. 1701/2021 del 29/06/2021-RG n. 1071/2018)

La ricorrente cita a giudizio il datore di lavoro e deduce:

  • di essere stata assunta – giusta contratto in data 9.4.2016 – presso la sede aziendale di Grottaglie con qualifica di operaio specializzato nella preparazione dei gelati e responsabile del punto vendita – richiamo al livello IV CCNL F****d Turismo – e con orario di lavoro di n. 40 ore settimanali distribuite su 5 giorni a settimana;
  • il rapporto di lavoro iniziava in realtà l’1.4.2016 e che il IV livello di inquadramento non corrisponde al profilo di “responsabile del punto vendita”;
  • che le mansioni disimpegnate non si limitavano alla mera preparazione dei gelati, ma anche di pasticcini, biscotti, organizzazione del magazzino, apertura e chiusura della cassa, maneggio degli incassi e rapporti con le banche presso cui era depositata delega, dietro le direttive del datore di lavoro, pulizia del locale, responsabile della caffetteria, banconista;
  • di non aver goduto per i primi 6 mesi di lavoro di alcun riposo settimanale né indennità per festività non godute;
  • dal giugno 2016 iniziavano immotivate critiche da parte del datore di lavoro, e rientrata nel marzo da un corso di gelateria veniva declassata allo svolgimento di mansioni inferiori, ed in particolare soppressione dei compiti di responsabilità sino ad allora disimpegnati;
  • il contesto si connotava per un ambiente insano costellato di pettegolezzi, rimproveri, attacchi contro la reputazione, ciò ingenerando nella ricorrente un crescente stato di depressione e stati d’ansia certificati dai competenti medici ASL;
  • tale situazione non comportava alcun mutamento nella condotta del datore di lavoro;
  • alla richiesta dalla ricorrente avanzata al datore della corresponsione delle sue spettanze retributive sino ad allora maturate rispondeva il silenzio,
  • il sollecitato intervento dell’I.T.L. di Taranto allo scopo di raggiungere una bonaria composizione della vicenda non sortiva effetto, e la ricorrente rassegnava in data 5.9.2017 dimissioni per giusta causa;
  • ad onta di ciò nulla del dovuto veniva corrisposto da parte datoriale e nessun esito sortiva il tentativo di conciliazione esperito in data 5.9.2017 innanzi all’I.T.L.

La ricorrente rivendica, dunque le differenze retributive e il ristoro del disagio psichico da mobbing patito.

Il convenuto Datore rimane contumace e la causa viene istruita attraverso acquisizione documentale e prove testimoniali e, all’esito delle assunzioni probatorie, il Giudice ritiene parzialmente fondato il ricorso.

Per quanto qui di interesse, uno dei testi ha riferito, quanto ai lamentati maltrattamenti subìti dalla ricorrente, che in più occasioni il datore di lavoro “in presenza di me e di altri dipendenti, ebbe modo di dire che persone come la ricorrente, che conferivano un’impronta negativa all’interno dell’ambiente lavorativo, dovevano esse isolate perché delle “pecore nere”.

Tuttavia, viene ritenuta non adeguatamente provata la domanda risarcitoria per danno biologico da mobbing.

Tale fenomeno – sottolinea il Tribunale – inizialmente analizzato da insigni studiosi psicologi e psichiatri, è stato variamente definito ed utilizzato, ma nella sostanza viene ricondotto dalla giurisprudenza ad alcuni comuni elementi essenziali:

  • l’aggressione o persecuzione di carattere psicologico;
  • la sua frequenza, sistematicità e durata nel tempo; il suo andamento progressivo;
  • le conseguenze patologiche gravi che ne derivano per il mobbizzato.

Pacifico ciò, la persecuzione di carattere psicologico può essere compiuta in qualunque modo, e può consistere in atti di aggressione verbale consumati spesso davanti a terzi dipendenti e non; comportamenti che si sostanziano in una esclusione, un allontanamento dal gruppo con conseguente isolamento, evidenziandone le diversità fisica o morale o intellettiva o culturale o religiosa o territoriale.

Ed ancora, atti anche poco significativi ma che ostacolano il normale espletamento dell’attività lavorativa; atti di contenuto tipico, compiuti cioè dal datore di lavoro o dai superiori, strettamente inerenti la gestione del rapporto di lavoro (demansionamenti, discriminazioni, trasferimenti, sanzioni disciplinari, ecc.).

Volendo una definizione, può affermarsi: il mobbing è costituito da un comportamento costantemente aggressivo di tipo psicologico e non, ripetuto nel tempo, di durata apprezzabile sia esso proveniente da superiori o da gruppi di colleghi, che incide sulla dignità della persona del lavoratore intesa questa in tutte le sue componenti ed accezioni.

Venendo alle conseguenze, la distinzione tra malattia e semplice disagio psichico scaturisce poi dalle diverse conseguenze che può produrre il mobbing, conseguenze che possono essere costituite sia da una vera e propria malattia psichica produttrice di permanenti effetti a carico della vittima sia da disagi di minore gravità che vengono ormai pacificamente qualificati come danno esistenziale.

Considerato il breve periodo riferito dalla lavoratrice, inferiore ai 6 mesi, che è il parametro solitamente utilizzato in giurisprudenza, emerge che in capo alla ricorrente vi è un disagio psichico , ma non una patologia importante effetti da mobbing e oggetto di risarcibilità.

La relativa domanda viene dunque rigettata.

In conclusione, il Giudice del Lavoro del Tribunale di Taranto, dichiara il diritto della ricorrente alle differenze retributive e rigetta la domanda risarcitoria per danno biologico.

Il datore di lavoro viene condannato al pagamento delle differenze retributive e delle spese di lite liquidate in euro 1.800,00, oltre accessori di legge.

Avv. Emanuela Foligno

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