Disturbo dell’adattamento provocato dall’attività lavorativa viene lamentato dal lavoratore che si rivolge al Giudice del Lavoro (Corte Appello Palermo, sez. lav., 21/02/2022, n.154), citando l’Inail.

Disturbo dell’adattamento e riduzione permanente della capacità lavorativa nella misura del 15% per malattia professionale è quanto richiesto dal lavoratore.

Il lavoratore, dipendente di un teatro di Palermo, ed incaricato tra il 2009 ed il 2013 di svolgere le mansioni di Responsabile del Movimento Scenico deduce che, a partire dal 2011 sarebbe stato “lentamente e inesorabilmente privato del proprio ruolo all’interno del Teatro”, fino ad essere ridotto “nei fatti ad una totale inoperatività ed inattività” ed emarginato “dalla comunità lavorativa in cui era stabilmente inserito”.

Secondo il ricorrente, quindi, la modifica dell’organizzazione lavorativa impostagli a partire dal 2011 dovrebbe porsi in correlazione causale con le patologie da cui è risultato affetto (disturbo dell’adattamento con ansia ed umore depresso” e “disturbo post-traumatico da stress”) .

Il Tribunale accoglieva la domanda accertando che il ricorrente subiva una riduzione della capacità lavorativa dell’8% con condanna dell’Inail al pagamento del capitale spettante ai sensi dell’art. 13, D.Lgs. 38/2000.

Il Tribunale, quindi, ha ritenuto assolto l’onere probatorio in ordine all’organizzazione del lavoro descritta dal lavoratore (integrante una fattispecie di mobbing o comunque di demansionamento), l’esistenza della malattia denunciata e il nesso eziologico tra la modifica dell’organizzazione del lavoro imposta dal datore di lavoro e l’insorgenza della malattia.

L’Inail impugna la decisione in appello ribadendo le deduzioni in ordine alla non indennizzabilità del danno biologico derivante da “conflittualità in ambito lavorativo” o da un disagio occupazionale derivante da scelte datoriali occupazionali. Inoltre, l’Istituto dubita dell’accertamento, con elevato grado di probabilità, del nesso causale fra la patologia contratta dalla dipendente (disturbo dell’adattamento) e l’attività svolta, in quanto effettuato in assenza di test psicodiagnostici.

L’appello è infondato.

Il Tribunale ha correttamente valutato la modifica organizzativa adottata dal datore di lavoro a partire dall’anno 2011, non avendo l’Inail, peraltro, contestato i fatti analiticamente allegati.

Per quanto riguarda la lamentata patologia di disturbo dell’adattamento, il Giudice ha ritenuto sussistente la correlazione causale tra tale condotta e la patologia ampiamente documentata e verificata dal CTU.

Secondo il CTU “le condizioni di stress che hanno caratterizzato l’ambiente di lavoro del ricorrente, sono dal punto di vista scientifico idonee a cagionare il disturbo dell’adattamento con ansia e umore depresso da cui è ad oggi affetto…… il ridimensionamento del ruolo lavorativo all’interno dell’organizzazione del teatro, l’assegnazione di una postazione di lavoro adibita in un locale insalubre (precedentemente adibito a sgabuzzino) e manifestamente inidoneo allo svolgimento di attività d’ufficio, la privazione delle chiavi di accesso agli uffici della Direzione Allestimento Scenico e la preclusione circa l’utilizzo della relativa strumentazione e documentazione depongono a favore del “carattere morbigeno dell’organizzazione lavorativa di cui si discute, a prescindere da ogni considerazione circa la legittimità del provvedimento datoriale e l’eventuale carattere vessatorio della modifica organizzativa adottata…..”.

Tali valutazioni vengono condivise anche dalla Corte d’Appello in quanto conformi ai principi di legittimità costanti ai quali l’Inail non ha contrapposto specifiche censure.

Peraltro, anche il CTU incaricato dalla Corte d’Appello ha ritenuto esistente la connessione causale sul presupposto, dell’attento esame, non solo della descrizione delle fasi lavorative desumibile dalle dichiarazioni testimoniali, ma anche del contenuto delle cartelle sanitarie, relazioni cliniche e referti delle numerose indagini strumentali svolte dal lavoratore sin dal 2012, dai quali ha ricavato che: “…si è concretizzata una condizione di “costrittività lavorativa”, sostanzialmente correlata alla organizzazione del lavoro, con conseguente alterazione delle dinamiche relazionali…….la ricorrente si è sottoposta a numerosi test psicodiagnostici, quali l’MMPI-2, HDRS, Karasek, LIPT, OSI ……… l’esito della raccolta anamnestico/lavorativa, nonché quanto emergente dalla odierna obiettività clinica, si è del parere che il lavoratore sia stato e sia a tutt’oggi affetto da “Disturbo dell’adattamento Post-traumatico da stress, con ansia ed umore depresso misti, di natura reattivo-situazionale”.

Per tali ragioni la decisione di primo grado viene integralmente confermata, con rigetto dell’appello.

Avv. Emanuela Foligno

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