Postare su Facebook immagini fotografiche che ritraggono persone in atteggiamenti pornografici integra il reato di diffamazione

La vicenda

La Corte di appello di Milano aveva confermato la sentenza di condanna pronunciata dal Giudice per le indagini preliminari all’esito di giudizio abbreviato a carico di un uomo ritenuto responsabile dei reati di tentata estorsione, di diffamazione aggravata, sostituzione di persona e violenza sessuale posti in essere nei confronti di due vittime, nonché quello di detenzione di film a contenuto pedopornografico.

Per tali fatti era stato condannato alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione e 600 euro di multa.

Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito l’uomo: 1) aveva compiuto “atti idonei diretti in modo non equivoco” a costringere la persona offesa ad avere rapporti sessuali e professionali con lui, attribuendosi un falso nome, trattando fotografie erotiche ed a carattere pornografico di una delle vittime, creando un falso profilo Facebook a nome della stessa, così da permetterne la visione a terzi e ledere l’immagine di quest’ultima, minacciando la divulgazione di tali immagini a parenti ed amici della medesima; 2) aveva costretto l’altra vittima a subire atti sessuali; c) deteneva sul proprio computer personale 4 film a contenuto pedo-pornografico.

Contro la pronuncia della Corte d’Appello di Milano l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione lamentando, tra gli altri motivi, l’errata qualificazione giuridica dei fatti a lui contestati.

Ma il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché generico e manifestamente infondato.

Quanto al reato di diffamazione, la Corte di Cassazione ha già chiarito che integra il reato la pubblicazione di immagini di parti intime di una persona tese a ledere esclusivamente la reputazione del soggetto interessato (Sez. 5, n. 42643 del 12/10/2004), ovvero in relazione alla pubblicazione su internet di foto che ritraggono una persona in atteggiamenti pornografici (Sez. 6, n. 38571 del 30/09/2008).

Ed inoltre, è stato affermato che il consenso alla pubblicazione di una foto non vale come scriminante del delitto di diffamazione se l’immagine sia riprodotta in un contesto diverso da quello per cui il consenso sia prestato, e che implichi valutazioni peculiari, anche negative sulla persona effigiata (Sez. 5, n. 30664 del 19/06/2008).

In quest’ottica, nel caso in esame, il Collegio (Cassazione, Terza Sezione Penale, n. 19659/2019), in linea con l’orientamento espresso dalla decisioni citate, ha affermato che la condotta di pubblicazione su internet, nella specie su un sito Facebook, di immagini fotografiche che ritraggono una persona in atteggiamenti pornografici, in un contesto e per destinatari diversi da quelli in relazione al quale il consenso alla pubblicazione era stato precedentemente prestato, integra il reato di diffamazione, in quanto azione idonea ad offendere l’altrui reputazione, comunicando con più persone.

La decisione

Di conseguenza, è stata ritenuta corretta la conclusione della sentenza impugnata, che aveva confermato la dichiarazione di colpevolezza del ricorrente evidenziando che le fotografie “postate” sul sito in apparenza riconducibile alla persona offesa fossero inequivocabilmente di contenuto pornografico ed accessibili a chiunque chiedesse l’amicizia, e che non era stato dato alcun consenso a tale forma di pubblicazione.

In definitiva il ricorso è stato rigettato e l’imputato condannato al pagamento delle spese processuali.

La redazione giuridica

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