Secondo la Cassazione chi agisce in giudizio per il pagamento del corrispettivo pattuito ha l’onere di provare corretto adempimento della propria obbligazione (Cass. civ., sez. II, 23 settembre 2024, n. 25410).
La vicenda
Il giudizio trae origine dalla domanda proposta dal committente dei lavori innanzi al Tribunale di Prato nei confronti dell’esecutore delle opere (nella fattispecie opere di giardinaggio) per chiedere la restituzione della somma di 54.680.000 di vecchie lire, lamentando che il lavoro non era stato completato e che alcune piante non erano attecchite.
A sua volta, la ditta esecutrice ha chiesto al Tribunale di Prato un decreto ingiuntivo per ottenere il saldo del pagamento per i medesimi lavori, producendo le relative fatture. Concesso il decreto ingiuntivo, il committente ha proposto opposizione, sostenendo che le prestazioni non erano state eseguite.
I procedimenti sono stati riuniti e, sulla base della CTU, il Tribunale adito ha accolto l’opposizione proposta dal committente, revocando il decreto ingiuntivo opposto.
Successivamente, la Corte d’appello di Firenze, in parziale accoglimento del gravame proposto ha condannato il committente al pagamento in favore dell’appellante della somma di €17.016,87 a titolo di saldo per le prestazioni svolte.
Nello specifico la Corte d’appello ha ritenuto risolto consensualmente dalle parti il contratto, che non fosse chiaro il contenuto delle obbligazioni contrattuali e, in difetto di prova di un comportamento colpevole dell’appaltatore, il committente era tenuto a corrispondere il compenso per le opere eseguite dall’appaltatore. Sulla base della CTU, che aveva determinato il valore delle opere eseguite in 147.114.757 lire e l’importo degli acconti corrisposti in 114.162,500 lire, la somma dovuta all’esecutore era pari alla differenza, determinata in €17.016,87.
La vicenda si spinge in Cassazione
Per il ricorrente (committente dei lavori) è errato il ragionamento seguito dai Giudici d’Appello, poiché, innanzitutto, “essi, pur partendo dalla premessa che non è chiaro il contenuto delle obbligazioni poste a carico delle parti, lo hanno condannato al pagamento dell’intero prezzo per le prestazioni eseguite dall’appaltatore, senza verificare l’esistenza di un comportamento colpevole a suo carico”, senza considerare che è onere del debitore della prestazione fornire la prova del corretto adempimento.
Le obiezioni sono fondate.
Nella decisione di appello è presente una contraddizione in quanto, pur avendo ritenuto non chiaro il contenuto delle obbligazioni contrattuali assunte dalle parti, i Giudici hanno affermato che non vi fosse la prova del comportamento colpevole dell’appaltatore, condannando perciò il committente al pagamento delle prestazioni eseguite dall’appaltatore.
Queste conclusioni non sono coerenti con l’affermazione dell’assenza di chiarezza delle prestazioni perché, solo dopo l’individuazione dell’obbligo contrattuale, è possibile accertare se sussista, o meno inadempimento.
Oltre a questo aspetto contraddittorio del ragionamento, i Giudici di secondo grado non hanno rispettato il principio generale dei contratti a prestazioni corrispettive, principio secondo cui “la parte che chiede in giudizio l’esecuzione della prestazione a lui dovuta non deve essere a sua volta inadempiente, ma deve offrire di eseguire la propria prestazione, se le prestazioni debbono essere eseguite contestualmente, ovvero deve dimostrare di avere esattamente adempiuto la propria obbligazione, se essa, come avviene per l’appaltatore, precede l’adempimento di pagamento del corrispettivo cui la controparte è tenuta”.
Ribaltato l’onere della prova
Al di là delle prestazioni corrispettive, vi è comunque il principio generale secondo cui il creditore che agisce in giudizio, sia per l’adempimento del contratto, sia per la risoluzione ed il risarcimento del danno, deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte, su cui incombe l’onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall’adempimento.
Ebbene, applicando tale principio al contratto di appalto del caso in esame, l’esecutore dei lavori che ha rivendicato in giudizio il pagamento del corrispettivo doveva provare di avere esattamente adempiuto la propria obbligazione, cioè di avere eseguito l’opera conformemente al contratto ed alle regole dell’arte, con l’effetto che la sua domanda non può essere accolta nel caso in cui l’altra parte contesti il suo adempimento.
Essendo, appunto, stata contestata l’esecuzione a regola d’arte da parte del committente, i Giudici dovevano accertare se la prestazione fosse stata integralmente e correttamente eseguita e, solo in caso positivo, avrebbero potuto condannare il committente al pagamento del prezzo.
Invece, è stato ribaltato l’onere della prova e raggiunta una decisione (errata) di condanna in capo al committente al pagamento del prezzo.
La sentenza viene cassata con rinvio alla Corte di Firenze in diversa composizione.
Avv. Emanuela Foligno