I congiunti del paziente deceduto citano a giudizio il Medico e il gestore del Complesso Turistico onde vederli condannati al risarcimento dei danni patiti a causa della morte del familiare per errata diagnosi

In particolare gli attori deducono che da diversi anni la vittima era addetta al locale sauna del Villaggio turistico quando la mattina del giorno del decesso accusava forti dolori allo sterno e bruciori localizzati in zona toracica.

Veniva accompagnato dalla moglie all’infermeria del Villaggio dove veniva visitato dal Medico che, dopo avergli riscontrato pressione alta, diagnosticava bruciore di stomaco e consigliava l’assunzione di Malox.

Il paziente seguiva le indicazioni del Medico e riprendeva l’attività all’interno della struttura, ma la sera, mentre era a cena con la moglie all’interno del Villaggio accusava un malore accompagnato da difficoltà respiratorie, tanto da indurre la moglie a richiedere l’intervento, tramite la reception, di un Medico.

Nell’attesa del Medico, l’operatrice del villaggio – qualificata infermiera pur non essendolo – non riusciva a prestare alcun tipo di soccorso al paziente.

Al momento dell’evento, il villaggio era sprovvisto di un defibrillatore ed il Medico della struttura ricettiva giungeva allorquando l’uomo era già deceduto, così come i sanitari del servizio “118”.

Si costituiscono in giudizio i convenuti contestando qualsivoglia responsabilità.

La causa viene istruita attraverso produzione documentale e prove testimoniali e all’esito il Tribunale ritiene infondata la domanda.

Preliminarmente il Tribunale (Tribunale di Lecce, sentenza n. 2148 del 6 ottobre 2020) evidenzia che in materia di errata esecuzione di prestazione medica la dimostrazione delle cause del fatto costitutivo della pretesa risarcitoria è a carico del danneggiato, mentre resta a carico del debitore convenuto la prova delle cause del fatto estintivo, ossia delle ragioni giustificatrici dell’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile.

Applicandosi, dunque, l’art. 1218 c.c. il danneggiato non deve provare la colpa del sanitario inadempiente, ma deve provare il nesso di causa tra la condotta dello stesso e il danno di cui invoca il risarcimento.

Tale onere risulta assolto quando il danneggiato, con qualsiasi mezzo di prova, dimostra che la condotta del sanitario è stata secondo il criterio del “più probabile che non” la causa del danno.

Di talchè -specifica il Tribunale-, quando le cause rimangano ignote o comunque incerte, anche all’esito dell’espletamento di una CTU, specie con riguardo alla verificazione di un esito infausto, la responsabilità non potrà essere ascritta alla struttura convenuta.

Gli attori, non hanno dimostrato la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta negligente del Medico e le conseguenze dell’errata diagnosi.

La causa della morte è rimasta ignota poiché, all’esito dell’istruttoria, le attrici non sono riuscite a dare la prova della sussistenza del nesso eziologico tra il decesso del congiunto, dovuto ad arresto cardio-circolatorio, e la imperita condotta del Medico.

Da tali considerazioni ne deriva, secondo il Tribunale, l’infondatezza della domanda risarcitoria.

Inoltre non coglie nel segno neppure la invocata perdita di chance laddove gli attori fanno riferimento all’intervento non tempestivo del Medico dovuto a errata diagnosi.

Al riguardo il Tribunale osserva “Invero, sulla scorta della verifica delle risultanze istruttorie, la denunciata perdita di chance non ha, tuttavia, interferito nella serie eziologica esitata posto che non è stata provata l’esistenza del nesso di causalità materiale tra l’omissione e l’evento lesivo della salute (rimasta indimostrata la causa dell’evento morte), sulla scorta di un giudizio controfattuale, per cui al corretto adempimento da parte del medico il paziente avrebbe potuto beneficiare degli effetti (possibilità di sopravvivenza) di un anticipato trattamento, risultando, dunque, indimostrato il collegamento tra inadempimento professionale e perdita dei vantaggi conseguibili dal soggetto, con conseguente esonero da responsabilità dei convenuti ed in particolare della struttura ricettiva per il fatto commesso dai propri dipendenti”.

In conclusione il Tribunale rigetta la domanda.

Lascia un po’ perplessi la decisione commentata.

Da un lato, il Tribunale discorre del principio della preponderanza dell’evidenza, disattendendo di applicarlo.

Dall’altro confonde i concetti di “causa incerta” e “causa ignota” laddove argomenta che  “quando le cause rimangano ignote o comunque incerte, anche all’esito dell’espletamento di una CTU, specie con riguardo alla verificazione di un esito infausto, la responsabilità non potrà essere ascritta alla struttura convenuta”.

Invero, valga il contrario, nel senso che solo la “causa ignota” gioca a sfavore sul danneggiato.

Infine, del tutto inappropriata la motivazione del Tribunale inerente la compensazione delle spese di lite.

Avv. Emanuela Foligno

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