Una tempestiva diagnosi da parte dei due Medici imputati non avrebbe eliminato il ragionevole dubbio che ciò avrebbe consento di impedire il decesso del paziente (Cassazione penale, sez. IV,  sentenza n. 36431 del 18 dicembre 2020)

Con sentenza del 3.3.2016 il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto dichiarava due Medici responsabili del reato di omicidio colposo del paziente deceduto a seguito di dissezione aortica acuta, patologia che secondo il Tribunale non veniva diagnosticata dagli imputati, che non disponevano i necessari esami diagnostici oltre il primo livello (esame ecocardiografico, TAC encefalo, RX torace), nonostante ciò fosse imposto dal quadro sintomatologico del paziente.

I due medici, in solido con l’Azienda Sanitaria Provinciale di Messina, venivano anche condannati civilmente al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili e al pagamento di una provvisionale di euro 25.000,00 per ognuna.

La Corte d’Appello di Messina, in riforma della decisione di primo grado, assolveva i Medici al reato di omicidio colposo “perché il fatto non sussiste” e confermava nel resto la sentenza appellata.

La Corte di merito riteneva l’insussistenza del nesso causale fra la condotta degli imputati e il decesso del paziente sulla base dell’evidenza disponibile, ed in particolare delle conclusioni dei Consulenti Tecnici del PM.

Difatti la CTU ha concluso che: “Anche nel caso di tempestiva diagnosi – avuto riguardo ai tempi necessari al trasferimento del  paziente in un ospedale adeguatamente attrezzato, ai tempi necessari per organizzare presso quest’ultimo l’equipe operatoria di alta specializzazione, ai notevolissimi rischi connessi all’operazione medesima – non si sarebbe potuto affermare con certezza che il paziente si sarebbe salvato.”

Avverso la decisione d’Appello propongono distinti ricorsi per Cassazione le parti civili e l’Azienda Sanitaria di Messina.

Le parti civili lamentano violazione di legge e travisamento della prova e deducono che la Corte territoriale ha ribaltato la sentenza di primo grado senza spiegare le ragioni della decisione e senza dare contezza dei motivi che disattendono la ricostruzione della sentenza riformata.

Il percorso argomentativo della Corte di Appello è scollegato dalle risultanze processuali e non si confronta con le specifiche argomentazioni del primo Giudice anche in ragione del fatto che dalle CTP emergeva come un appropriato intervento di cardiochirurgia avrebbe determinato una percentuale di sopravvivenza del 70%.

Invero, le negligenze dei due Medici non hanno consentito al paziente di fruire della possibilità di essere sottoposto ad un intervento in un adeguato centro medico specialistico, in tal modo privandolo della possibilità di salvarsi con una probabilità vicina al 70%.

L’azienda Sanitaria lamenta, invece, che la Corte d’Appello a seguito dell’assoluzione degli imputati dall’accusa di omicidio colposo non revocava le statuizioni civili.

Gli Ermellini considerano le doglianze delle parti civili infondate.

La doglianza inerente la mancata motivazione della decisione è prospettato in maniera generica e non precisa quali punti specifici della sentenza di primo grado non sarebbero stati confutati dall’Appello.

Oltretutto i ricorrenti non hanno considerato che l’obbligo di motivazione  richiesto al Giudice di Appello per la riforma della sentenza di primo grado si atteggia in maniera differente, a seconda che il ribaltamento in appello riguardi una sentenza che in primo grado abbia assolto o condannato l’imputato.

Al riguardo la Suprema Corte ribadisce che solo in caso di assoluzione in primo grado il Giudice d’appello deve argomentare e motivare il diverso apprezzamento al di là di ogni ragionevole dubbio.

Per contro, in caso di ribaltamento della sentenza di condanna, il Giudice di Appello può limitarsi a giustificare la sostenibilità di ricostruzioni alternative del fatto, sulla base di un’operazione di tipo essenzialmente demolitivo.

Ciò che rileva, nel percorso motivazionale della sentenza di appello che ribalti in assoluzione il giudizio di condanna di primo grado, è che la diversa ricostruzione offerta risulti plausibile in quanto ancorata alle risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza.

In altri termini, occorre che il ragionevole dubbio sia suscettibile di essere argomentato con ragioni verificabili alla stregua del materiale probatorio acquisito al processo.

Solo così facendo viene soddisfatta l’esigenza che il Giudice d’Appello strutturi la motivazione della decisione assolutoria in modo rigoroso, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte.

Ciò posto, la Corte di Messina ha pienamente soddisfatto tali requisiti all’interno del percorso motivazione della propria decisione, che si presenta immune da vizi logici e giuridici.

Non è riscontrabile nessun travisamento della prova, ed anzi la Corte territoriale ha correttamente ancorato il giudizio di insussistenza del nesso causale sulla base delle conclusioni rese dai CTU nominati dal Pubblico Ministero.

Difatti è stato accertato che “per la patologia da cui era affetto il paziente (dissezione aortica “tipo A” di Standford) l’unico intervento salvavita è rappresentato da un immediato intervento chirurgico avente un elevato tasso di mortalità, pari al 30%”.

Sulla scorta di tale accertamento la Corte di Messina ha giustamente considerato che il paziente non poteva essere sottoposto ad intervento immediato, poiché ricoverato in un ospedale non attrezzato per affrontare un simile intervento chirurgico.

E’ stato ragionevolmente ritenuto che non vi fosse alcuna certezza che il trasferimento si sarebbe potuto attuare in tempo per garantire che l’intervento chirurgico garantisse una probabilità di sopravvivenza pari al 70%.

Inoltre vi è anche da considerare che dovevano essere eseguiti in contemporanea due interventi, uno al torace da parte di un cardiochirurgo e uno all’aorta sopra renale da parte di un chirurgo vascolare.

Oltretutto il CTP ha osservato che “la tipologia di dissecazione da cui il paziente era affetto era tra le più gravi, per cui l’intervento da eseguire in urgenza, in un paziente in un quadro di shock, avrebbe avuto un tasso di mortalità attorno al 50-60%, anche tenuto conto del fatto che nel paziente era stato riscontrato un imponente sanguinamento retro peritoneale che avrebbe richiesto un intervento di chirurgia vascolare, con un ulteriore rischio di morte per il paziente”.

Per tali e tante ragioni gli Ermellini ritengono corretto quanto deciso dal Giudice di merito considerato che una tempestiva diagnosi da parte dei due Medici imputati non avrebbe eliminato il ragionevole dubbio che ciò avrebbe consento di impedire il decesso del paziente.

Il ricorso dell’Azienda Sanitaria, invece, viene considerato fondato.

Difatti, è pacifico che il Giudice d’Appello nell’assolvere l’imputato debba revocare anche i capi della decisione che riguardano gli interessi civili.

Il Giudice penale può pronunziarsi sull’azione civile solo in ipotesi di sentenza di condanna e l’impugnazione dell’imputato estende i suoi effetti alle statuizioni civili.

La Corte d’Appello, dunque, a fronte dell’assoluzione dei due Medici doveva revocare le statuizioni civili di condanna.

In conclusione la Suprema Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla conferma delle statuizioni civili.

Avv. Emanuela Foligno

Hai vissuto una situazione simile? Scrivi per una consulenza gratuita a malasanita@responsabilecivile.it o invia un sms, anche vocale, al numero WhatsApp 3927945623

Leggi anche:

Trauma contusivo ginocchio e rachide da infortunio sul lavoro

- Annuncio pubblicitario -

1 commento

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui