L’attore conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma lo psicologo al fine di sentirne accertata la responsabilità per avere, con la propria perizia psicologica del 10/11/2006, prodotta nel corso del giudizio di separazione instaurato dalla sua ex coniuge, formulato accuse nei confronti di esso. Nello specifico il consulente lo accusava di condotte devianti dal punto di vista sessuale e comunque di rilievo psicopatologico perpetrate ai danni della figlia così calunniandolo e ledendolo nell’onore e nella reputazione, tanto nel suo ruolo genitoriale, quanto nella sfera professionale.
Il Tribunale di Roma rigettava la domanda. In appello l’uomo deduce l’errata, contraddittoria valutazione e interpretazione della relazione psicologica del 10/11/2006. La Corte di Roma rigetta il gravame con condanna alle spese e la questione arriva in Cassazione.
Il rigetto della Suprema Corte
L’uomo sottolinea che erroneamente la Corte d’appello avrebbe applicato al caso di specie, trattandosi di consulente tecnico di parte, l’esimente di cui all’art. 598 c.p. e che la sentenza sarebbe nulla per mancanza di motivazione.
Nello specifico, denuncia la sentenza impugnata per non essersi la Corte d’Appello confrontata con le censure e le circostanze addotte nell’atto d’appello, con la conseguenza che, il mero richiamo all’ordinanza del GIP si tradurrebbe in una motivazione incongrua e apparente.
Entrambe le censure vengono disattese. I Giudici di appello, esercitando il potere di apprezzamento delle emergenze istruttorie, hanno escluso che dall’esame della relazione tecnica di parte stilata dal medico convenuto, su incarico della moglie, “si ravvisassero i contenuti calunniosi addotti dall’appellante”, avendo il professionista descritto nella sua perizia psicologica “comportamenti inappropriati di quest’ultimo nei confronti della figlia, valutandone anche gli effetti presenti e futuri” in ragione della sua qualità di psicologo “giammai attribuendogli fatti specifici integranti nemmeno ipoteticamente, ipotesi di reato”.
La perizia psicologica del consulente
In particolare, hanno osservato che lo stesso consulente di parte si era limitato a riportare circostanze riferite dalla minore, suggerendo l’opportunità che un Consulente d’ufficio esaminasse le questioni prospettate. Tanto che nell’ambito di quel giudizio venne nominato un Consulente Tecnico d’ufficio che pervenne a conclusioni non dissimili da quelle espresse da quello di parte, descrivendo anch’egli i comportamenti dell’uomo come “peculiari e inopportuni”, confermando nella sostanza il contenuto dell’elaborato di parte in contestazione e, sul punto hanno ritenuto significativo, inoltre, il fatto che nell’impugnare il provvedimento reso in sede civile che modificava le condizioni patrimoniali, l’uomo non si era lamentato delle risultanze della CTU dal quel Giudice ritenute “in linea” con le conclusione della CTP in questione.
Oltre a ciò, i Giudici di appello hanno dato conto del contenuto dell’ordinanza di archiviazione emessa dal GIP (nel procedimento penale promosso nei confronti del medesimo psicologo di parte), che escludeva la sussistenza degli elementi strutturali del reato di calunnia nel contenuto della consulenza di parte stilata e espressamente riteneva che “nel caso di specie, appare evidente già nella prospettazione contenuta nella denuncia – querela che né nel ricorso proposto avanti al Tribunale civile dalla ex moglie, né nella consulenza di parte si accusa di alcun reato, così come lamentato dallo stesso denunciante”.
Pertanto, la Corte d’appello ha affermato “che a seguito dell’archiviazione, l’appellante ha promosso l’azione civile per l’accertamento della responsabilità del medico psicologo “per aver fatto delle illecite affermazioni lesive del decoro ed onore contenuto nella citata consulenza psicologica” per poi concludere che le stesse “anche in questa sede, in primo come nel secondo grado, non sono ritenute idonee a integrare i presupposti per la configurabilità del reato di calunnia non essendo emerso o altrimenti provato, né il dolo del consulente di parte, né l’elemento oggettivo. Oltre a questo, nell’affermare che “i contenuti della relazione costituiscono espressione del diritto di critica connaturato ad una prestazione professionale in cui è richiesta una valutazione tecnica”, la Corte territoriale ha chiaramente escluso, in sostanza, l’intrinseca consistenza diffamatoria delle asserite espressioni usate dal CTP.
La ratio decidendi dei giudici di Appello
Ebbene, le censure proposte con riferimento a tale ratio decidendi (idonea da sola a sorreggere autonomamente la motivazione) sono inammissibili ed anche infondate, tenuto conto che il ricorrente mostra di non essersi confrontato con la complessiva motivazione della sentenza impugnata, che sussiste, è articolata, seppur sinteticamente, e non è meramente apparente.
In buona sostanza, il ricorrente vorrebbe ottenere un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello formulato dalla Corte di appello, omettendo di considerare che sia l’accertamento dei fatti, che l’apprezzamento delle risultanze istruttorie è attività riservata al Giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove, ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi.
Infine, la Cassazione precisa che i Giudici di appello hanno errato nel ritenere, con autonoma ratio decidendi, applicabile l’esimente di cui all’art. 598 c.p. che, viceversa, si riferisce espressamente ed esclusivamente alle parti ed ai loro difensori, non potendo quindi trovare applicazione nei confronti del CTP, che è figura processuale diversa.
Pertanto, la motivazione della sentenza impugnata va in tal senso corretta ed emendata.
In conclusione la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso (Cassazione civile, sez. III, 29/08/2024,n.23326).
Avv. Emanuela Foligno