Sofferenza cardiaca non approfondita in Pronto Soccorso

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Viene ritenuta errata la prestazione medica per omessa esecuzione di enzimogramma in presenza di una sofferenza cardiaca.

Chiamata a giudizio dai congiunti del paziente deceduto è l’ASL Napoli 1 Centro cui viene contestata una negligente e imprudente prestazione professionale dell’Ospedale San Giovanni Bosco determinante il decesso del paziente.

I familiari asseriscono che i sanitari di turno, nonostante la vittima si fosse recata presso la struttura con sintomatologia riconducibile a probabile sofferenza cardiaca, avevano omesso di praticare i dovuti esami obiettivi e, in specie, di eseguire l’enzimogramma cardiaco al fine di scandagliare le cause effettive del malore.

Al paziente sarebbe stato riferito che la sintomatologia era da ricollegare alla cronica patologia broncopolmonare da cui era affetto e lo stesso rifiutava il proposto ricovero, dimettendosi volontariamente. Il giorno successivo, 26 giugno 2009, il paziente si recava nuovamente presso il medesimo Ospedale, già in fase di arresto cardiocircolatorio, e decedeva nonostante le manovre rianimatorie.

La vicenda giudiziaria

Il Tribunale rigettava la domanda basandosi sulla CTU in sede penale, secondo cui l’improvvisa imprevedibilità della manifestazione d’insufficienza cardiorespiratoria doveva portare a escludere la sussistenza del nesso eziologico con il decesso. La Corte di appello riformava la decisione, all’esito di CTU svolta in secondo grado,osservando che “con giudizio di alta probabilità, una corretta gestione diagnostica avrebbe dovuto imporre un approfondimento, tale da permettere un inquadramento del dolore toracico come di natura anginosa da coronaropatia, con prevedibilità dei correlati eventi avversi, evitabili con il necessario ricovero e monitoraggio, da disporre previa compiuta informazione al paziente”.

Detto in altri termini, secondo il Giudice di appello, in presenza di paziente affetto da dolore toracico acuto, il referto, che aveva riportato la dicitura “toracalgia e dispnea”, era risultato carente di ogni specifica amnestica, relativa ai fattori di rischio e alle patologie pregresse, sicché ulteriori indagini di laboratorio e in specie quello degli enzimi cardiaci, avrebbero dovuto essere svolti stante la sintomatologia e l’ECG non diagnostico, mentre non erano stati disposti neppure gli accertamenti “routinari” di base, senza, quindi, misurazione periferica di O2, esame emogasanalitico, ecocardiogramma transtoracico, indagini ematologiche di II livello, necessari per procedere a compiuta diagnosi: un differente approccio avrebbe in tal senso permesso di prevenire il decesso.

Il ricorso in Cassazione

L’Azienda Ospedaliera impugna la decisione in Cassazione sul presupposto dell’omesso esame controfattuale riguardo all’effettiva possibilità che l’evento di danno potesse evitarsi con la condotta alternativa corretta, da sussumere in base a leggi scientifiche ovvero statistiche non indicate.
Posto che dalla consulenza svolta in sede penale era emerso che “all’esame autoptico correlato non era risultato un quadro anatomopatologico caratteristico dell’infarto, quanto alle aree miocardiche o a segni di sofferenza ischemica tissutale, ed era invece risultata l’assenza di ostruzioni trombotiche che, in uno all’ECG eseguito e apparso nella norma e alla considerazione delle 15 ore trascorse tra il primo episodio di toracalgia e il decesso, rendeva verosimile che le indagini ulteriori anche reiterate, come in effetti da protocollo, ovvero il controllo di enzimi indicatori di danno miocardico, sarebbero risultate nella norma.

Il tutto alla luce del fatto, affermato nella CTU del grado di appello, che non tutti i pazienti con sindrome coronarica acuta presentano dolore toracico, sicché, all’esito della radiografia svolta, era corretto orientarsi nel senso di una broncopneumopatia già cronica su base enfisetamosa, e informare di ciò il paziente dimessosi volontariamente all’esito di consenso informato dunque evincibile a contrario”.

Tutte le doglianze vengono respinte (Cassazione civile sez. III, 19/08/2024, n.22902).

La Consulenza tecnica

Dalla CTU svolta in sede civile era emerso che:

  • una corretta gestione diagnostica avrebbe dovuto imporre un approfondimento amnestico, specie quanto alla descrizione del dolore toracico e alla valutazione dei precedenti di cardiopatia ischemica, tale da permettere un inquadramento semeiologico, con valutazione dei parametri vitali, apprezzamento dei segni di vasculopatia generalizzata, auscultazione toracica, analisi della sudorazione, completamente omessi, che non avevano consentito di attribuire al dolore toracico una natura anginosa, con prevedibilità dei correlati rischi di eventi avversi, evitabili, con giudizio di alta probabilità, attraverso il necessario ricovero e monitoraggio e il tempestivo trattamento della causa, disponendo quel ricovero dopo una previa quanto compiuta informazione al paziente.
  • In presenza di paziente affetto da dolore toracico acuto, il referto, che aveva riportato la dicitura “toracalgia e dispnea”, era risultato carente di ogni specifica amnestica, relativa ai fattori di rischio e alle patologie pregresse, sicché ulteriori indagini di laboratorio e in specie quello degli enzimi cardiaci, avrebbero dovuto essere svolti stante la sintomatologia e l’ECG non diagnostico, mentre non erano stati disposti neppure gli accertamenti “routinari” di base, senza, quindi misurazione periferica di O2, esame emogasanalitico, ecocardiogramma transtoracico, indagini ematologiche di II livello, necessari per procedere a compiuta diagnosi.
  • L’ASL non aveva provato che la vittima fosse stata informata in modo esplicito ed esaustivo circa i rischi specifici inerenti all’allontanamento.

La condotta omissiva dei sanitari

Ebbene, da questi accertamenti emerge il giudizio fattuale di superamento della consulenza del procedimento penale: l’assunto d’ipotizzata verosimiglianza di un controllo di enzimi indicatori di danno miocardico nella norma, fatto proprio da quest’ultima, è stato inquadrato, in sede civile, in una più complessiva condotta omissiva di ogni altro esame specifico quanto anche solo “routinario”, sia anamnestico che strumentale che avrebbe dovuto indurre a ipotizzare concretamente ulteriori fattori di rischio e quindi disporre per tale ragione un ricovero e monitoraggio che avrebbero permesso un tempestivo intervento molto probabilmente salvifico.

Correttamente, quindi, la Corte di appello, preso atto della genericità del referto e degli esami peritali integrativi ad ampio spettro, ha concluso che la diligenza e prudenza mediche avrebbero dovuto indurre a condotte alternative che, con plausibile giudizio di elevata probabilità, avrebbero a loro volta messo i sanitari in condizione d’intervenire tempestivamente.

Oltre a ciò, il Giudice di merito ha anche – correttamente – argomentato che la stessa consulenza del procedimento penale rimarca come gli esami enzimatici erano da protocollo quando c’è una sofferenza cardiaca, e dunque è evidente che il fattore di rischio rientrava nella considerazione dello standard medico, al pari, quindi, dei connessi esami qualificati come di routine, senza che a tal fine, in questo senso, necessiti una specificazione di sottesa legge universale o statistica di riferimento.

A ciò viene aggiunto che la Corte di secondo grado ha osservato che l’ASL non aveva dato prova di aver compiutamente informato dei rischi il paziente all’atto delle dimissioni volontarie, rischi del resto non oggetto delle omesse indagini, e neppure è stata oggetto di specifica censura la (corretta) distribuzione dell’onere della prova sul punto.

Il ricorso viene integralmente rigettato con conferma della decisione di secondo grado.

Avv. Emanuela Foligno

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