Errate prestazioni sanitarie, medico condannato al risarcimento danni

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Il paziente invoca la responsabilità solidale della Struttura e del Medico per le errate prestazioni sanitarie ricevute. Solo il Medico è condannato al risarcimento dei danni e alla restituzione dei pagamenti ricevuti (Tribunale Ferrara, 16/11/2023, n.907).

La vicenda

Il danneggiato cita in giudizio il Medico e la Clinica al fine di ottenere la condanna in solido per gli asseriti danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a causa del negligente, imprudente e imperito trattamento sanitario posto in essere.

In Tribunale deduce:

  • a) di essersi sottoposto, tra il 2017 ed il 2021, ad un percorso di implantologia del primo molare superiore di sinistra e successiva riabilitazione presso la clinica.
  • b) Che, dopo la prima visita del 4 luglio 2017 effettuata dal Medico convenuto dottor R.P. – nella quale si era proceduto alla “presa in carico del paziente” concordandosi il percorso – era stato “affidato” al collega chirurgo implantologo dottor G.G., sebbene tutti i pagamenti fossero stati effettuati al medico evocato in giudizio.
  • c) Che il dr. G.G. aveva eseguito l’intero intervento chirurgico: il 14 dicembre 2017 effettuando il rialzo del seno mascellare e la rigenerazione ossea, mediante innesto di materiale sostitutivo dell’osso; il successivo 20 luglio 2018 posizionando la vite implantare, eseguendo, nel corso delle successive visite del 9 novembre 2018 e 18 gennaio 2019, “procedure di biostimolazione con aghi e iniezioni di PRP (plasma ricco di piastrine) con l’obiettivo di favorire e ripristinare l’osteointegrazione”.
  • d) Che la finalizzazione protesica dell’impianto, tuttavia, non era stata completata, atteso l’insorgere di dolore nella sede-
  • e) Che il dottor R.P. aveva “preso nuovamente in carico” il paziente dal 22 ottobre 2019, esprimendo dubbi sulla stabilità dell’impianto e applicando una corona provvisoria, certificando il 5 ottobre 2021 il definitivo “fallimento”, consigliandone la rimozione e l’applicazione di una capsula “bite”.
  • f) Che si era rivolto ad altro Medico per la rimozione dell’impianto e per la chiusura della fistola prodottasi.

Il risarcimento danni per le errate prestazioni sanitarie

Previo ATP, il paziente quantifica i danni subiti in 8.704 euro per danni non patrimoniali, 1.332 euro per danni patrimoniali, oltre alla restituzione del prezzo corrisposto per l’intervento complessivo pari a 7.300 euro e alla rifusione delle spese di A.T.P. sostenute.

Richiamata la cornice normativa, il Giudice ritiene assente la prova della conclusione di un contratto di specialità tra il paziente e la Clinica posto che la semplice circostanza allegata – ovvero di essersi rivolto alla predetta struttura sanitaria privata – non è sufficiente a dimostrare il perfezionamento del negozio. Dalle produzioni documentali emerge che la Clinica si sia limitata alla fornitura di spazi utilizzati dai Medici. In particolare, manca la prova di una effettiva “presa in carico” del cliente attraverso la sua “gestione”, posto che, eccezion fatta per una sola mail, risulta che i contatti prescrittivi e organizzativi avvenivano direttamente con i medici curanti, così come l’elaborazione del programma terapeutico.

Ciò posto, il contratto risulta concluso tra il paziente e il dottor. R.P. per tutto l’intero percorso terapeutico, con conseguente applicabilità dell’art. 1228 c.c. per le attività terapeutiche poste in essere dal dottor G.G. La circostanza che il Medico convenuto si sia avvalso dell’opera del terzo ai sensi dell’art. 1228 c.c., significa l’imputazione anche delle altrui condotte negligenti e attinenti alle scelte imperite del dr. G., nonché il decorso postoperatorio, periodo nel quale, egli aveva un obbligo di vigilanza e controllo.

La consulenza tecnica

La CTU, appurata la corretta individuazione diagnostica del percorso terapeutico, ha accertato una negligenza professionale ascrivibile alla omessa tempestiva rimozione dell’impianto dopo quattro mesi dall’intervento: “Alla luce di quanto fino a qui esposto si può affermare che il fallimento implantare, ovvero la perdita di osteo integrazione, risultava presente già dopo quattro mesi dall’inserimento dell’impianto stesso e avrebbe richiesto la rimozione tempestiva dell’impianto stesso. Invece, l’impianto veniva rimosso solo in data 1 dicembre 2021. L’esito finale di tale mancata osteointegrazione, nonché la persistente presenza dell’impianto non integrato nel cavo orale comportava uno stato infiammatorio condizionante la formazione di una fistola oro-antrale sostenuta proprio dallo stesso impianto all’interno della sede alveolare, così come documentato agli esami clinici e strumentali eseguiti nel mese di novembre 2021.
Durante gli anni 2019 e 2020 gli esami strumentali (tac ortopantomografia e radiografia endorale) documentavano anche una progressiva alterazione dell’architettura endo-sinusale sinistra, in concomitanza della comparsa degli stessi sintomi specifici che il paziente riferiva monolaterali ed ingravescenti, proprio in corrispondenza della regione mascellare superiore sinistra.
È pertanto possibile affermare che la persistenza dell’impianto non integrato condizionava l’insorgenza di una comunicazione oro-antrale associata a sinusite mono mascellare sinistra, come risulta dagli esami tridimensionali svolti in data 2 novembre 2021. La monolateralità della patologia e l’assenza di segni di patologia sinusale reperibili negli esami radiografici tridimensionali antecedenti all’intervento del 2017 (cfr. tac 1 settembre 2017) avvalorano l’ipotesi che tale infiammazione sia diretta conseguenza degli interventi eseguiti. La correzione di tale difetto (fistola oro-antrale di 3 mm.) si concretizzava mediante l’effettuazione di due interventi chirurgici. In particolare, in data 1° dicembre 2021 venivano rimossi l’impianto fallito e il biomateriale posizionato, e, in data 24 gennaio 2022, veniva chiusa definitivamente la fistola oro-antrale mediante un intervento di chirurgia rigenerativa“).

Ed ancora “Rispetto al successivo decorso, risulta, dalla documentazione in atti, che, in data 9 novembre 2018, a distanza di soli quattro mesi dal secondo intervento, veniva eseguito “biostimolamento con aghi e iniezioni di PRF e antibiotico”; tale trattamento veniva eseguito anche durante l’anno 2019 (18 gennaio e 29 marzo). Il tipo di procedura messa in atto nelle sedute indicate presuppone una diagnosi clinica di perdita di osteointegrazione è quindi ragionevole dedurre che, a meno di quattro mesi dall’inserimento dell’impianto endosseo, la perdita di osteointegrazione e quindi il fallimento implantare fossero già clinicamente evidenti. A livello radiografico il fallimento dell’osteointegrazione (alone radiotrasparente) si osserva in assenza di segni radiografici di peri-implantite con pattern caratteriforme (noto anche come difetto patellare).
Questo significa che il fallimento dell’osteointegrazione non può essere imputato a cause di tipo microbiologico/infettivo. Si precisa che il trattamento di un impianto endosseo che perde l’osteointegrazione è la rimozione chirurgica tempestiva del medesimo impianto, soprattutto ai fini della conservazione del tessuto osseo nativo e dell’eventuale innesto osseo quando eseguito per poter eventualmente successivamente inserire un nuovo impianto endosseo. Alla luce di quanto fino a qui esposto si può affermare che il fallimento implantare, ovvero la perdita di osteo integrazione, risultava presente già dopo quattro mesi dall’inserimento dell’impianto stesso e avrebbe richiesto la rimozione tempestiva dell’impianto stesso.
Invece, l’impianto veniva rimosso solo in data 1 dicembre 2021. L’esito finale di tale mancata osteointegrazione, nonché la persistente presenza dell’impianto non integrato nel cavo orale del paziente, ha comportato uno stato infiammatorio condizionante la formazione di una fistola oro-antrale sostenuta dallo stesso impianto”. Nel caso concreto, già a distanza di 4 mesi dal posizionamento dell’impianto, sussistevano gli elementi per ipotizzare la perdita di osteointegrazione e quindi il fallimento implantare. Dal punto di vista radiografico, le indagini effettuate in data 9 novembre 2018, 18 gennaio e 29 marzo 2019 e 27 luglio 2020, quando il paziente risultava in trattamento sanitario presso la Clinica (…), confermavano il fallimento dell’osteointegrazione. A fronte di tale quadro risultava necessario procedere alla rimozione tempestiva dell’impianto. Invece, l’impianto veniva rimosso solo in data 1 dicembre 2021 da altro medico”.

La quantificazione del danno

La quantificazione del danno non patrimoniale (5% danno biologico permanente) è conseguentemente pari a 8.704 euro (Età del danneggiato anni 40; punti di invalidità 5 per cento pari a 6.031 euro. Temporanea parziale al 20 per cento giorni 90 pari a 1.782 euro. Temporanea parziale al 10 per cento giorni 90 pari a 891 euro).

Il danno patrimoniale riconosciuto è pari ai costi sostenuti per l’intervento di rimozione dell’impianto (fattura 15/2022 Studio Dott. Ma./Tr.) per 1.332 euro. A tutti i costi sostenuti per l’attività medica risultata inidonea alla finalità curativa concordata, pari a 7.300 euro.

Avv. Emanuela Foligno

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