L’azienda dovrà pagare circa 400mila euro di risarcimento per una iniezione sbagliata che avrebbe ridotto le aspettative di vita di una malata terminale di cancro

Le avevano dato sei mesi di vita, ma quell’aspettativa sarebbe stata ridotta da un errore medico nel corso delle terapia del dolore che la donna aveva iniziato per lenire le proprie sofferenze. Nello specifico, un’iniezione non sarebbe entrata nello spazio epidurale, dove avrebbe potuto anestetizzare la paziente, ma nello spazio araconoideo della spina dorsale provocando  “un incremento di pressione nel sistema liquorale con effetti negativi sulla perfusione del sistema cerebrale”.

La vicenda, riportata dalla Gazzetta di Modena, risale al 2012. La donna, 66enne malata di cancro, morì dopo pochi giorni; marito e figlia fecero causa alla Ausl nella convinzione che l’errore  avesse provocato il decesso anticipato della donna. A distanza di quattro anni il Tribunale di Modena gli ha dato ragione riconoscendo loro un risarcimento pari a circa 200mila euro ciascuno. La valutazione è stata effettuata dal consulente tecnico incaricato dal giudice per accertare le eventuali responsabilità del personale sanitario in servizio presso il centro antidolore.

La Ausl si era difesa in giudizio argomentando che il posizionamento del catetere peridurale per iniettare le sostanze previste dalla terapia era una manovra complessa a causa delle condizioni della paziente. Inoltre, secondo l’Azienda, le cartelle cliniche escludevano qualsiasi collegamento tra le operazioni di posizionamento del catetere e la morte, “provocata dalla patologia in stato avanzato”.

Il perito del Tribunale, tuttavia, ha invece concluso che la manovra di posizionamento del catetere fu eseguita erroneamente “dato che si ebbe l’anomalo spandimento di mezzo di contrasto e di sostanza con effetto farmacologico nello spazio sub aracnoideo e negli spazi liquorali, con particolare interessamento del quarto ventricolo”. L’esperto ha inoltre aggiunto che “tra l’errore e la morte esiste un rapporto di tipo concausale, stanti le gravi condizioni della signora, seppur è possibile affermare che l’aspettativa di vita della signora non avrebbe superato i sei mesi”.

Il perito pur sostenendo che “non possiamo essere certi della causa della morte”, ha evidenziato come “gli elementi documentali inducono a ritenere che la stessa sia da attribuire a uno stato tossico-infettivo che ha determinato una insufficienza cardio respiratoria con collasso terminale”.

Il Tribunale, nel far notare che “nelle sedi e nei momenti opportuni non sono pervenute osservazioni dai consulenti tecnici di parte”, ha stabilito una parte di risarcimento (130 euro giornalieri) per il danno provocato alla paziente sino alla morte, per un totale di poco più di duemila euro, e ha condannato l’Ausl a liquidare 101mila euro ciascuno a marito e figlia, oltre ad altri 101mila euro ciascuno a titolo di interessi compensativi. Al tutto si aggiungono le spese processuali  dei parenti della vittime e quelle necessarie  per la perizia.

 

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