Respinto il ricorso di una donna che chiedeva le prestazioni previdenziali dovute per il decesso del marito da ricondurre, a suo avviso, a inadeguata esposizione a rischio professionale
Con l’ordinanza n. 27556/2020 la Cassazione si è pronunciata sul ricorso di una contribuente contro il rigetto, da parte della Corte di appello, della domanda volta a conseguire le prestazioni previdenziali asseritamente dovutele per il decesso del proprio coniuge, di cui aveva assunto l’etiologia professionale. Nel rivolgersi alla Suprema Corte la donna deduceva che la Corte di merito avesse ritenuto non raggiunta “la prova del nesso di causalità tra l’attività lavorativa espletata dal suo dante causa e il di lui decesso per inadeguata esposizione a rischio professionale”; inoltre, lamentava l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio per essersi la Corte territoriale discostata dai canoni della scienza medica, avendo valutato insufficiente l’esposizione a rischio.
La Suprema Corte, tuttavia, ha ritenuto di rigettare le doglianze proposte.
Gli Ermellini hanno preliminarmente ribadito che dall’inclusione nelle apposite tabelle sia della lavorazione che della malattia (purché insorta entro il periodo massimo di indennizzabilità) “deriva l’applicabilità della presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall’assicurato, essendo conseguentemente onere dell’INAIL di dimostrare la dipendenza dell’infermità da una causa extralavorativa oppure che la lavorazione non abbia avuto idoneità sufficiente a cagionare la malattia e fermo restando che, in caso di malattia – come quella tumorale – ad eziologia multifattoriale, la prova del nesso causale non può consistere in semplici presunzioni desunte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma deve consistere nella concreta e specifica dimostrazione, quanto meno in via di probabilità, della (in)idoneità della esposizione al rischio a causare l’evento morboso”. Il tutto con la precisazione che “in presenza di forme tumorali che hanno o possono avere, secondo la scienza medica, un’origine professionale, la presunzione legale quanto a tale origine torna ad operare, sicché l’INAIL può solo dimostrare che la patologia tumorale non è ricollegabile all’esposizione a rischio”.
Nel caso in esame, pur dando atto che nella tabella delle malattie professionali dell’industria di cui al d.P.R. n. 336/1994 è stato inserito, alla voce n. 56, il carcinoma polmonare tra le malattie neoplastiche “derivanti da lavorazioni che espongono all’azione delle fibre di asbesto”, la Corte territoriale aveva reputato che la valutazione dell’esposizione a rischio effettuata dalla CTU ambientale fosse stata sovrastimata in rapporto alle risultanze del libretto di navigazione del de cuius, che evidenziavano un periodo di navigazione effettiva pari a mesi 36 e giorni 135.
Il Collegio distrettuale aveva pertanto escluso “che l’esposizione all’amianto po[tesse] ritenersi […] sufficiente a determinare l’insorgere della malattia”, valorizzando, per contro, un “fortissimo fattore di rischio nella protratta abitudine del fumo di sigaretta […], posto che il de cuius ha fumato, per circa cinquant’anni, sessanta sigarette al giorno” e “ha contratto una forma di tumore al polmone che può considerarsi ‘tipica’ dei soggetti fumatori”.
A detta della Cassazione il Giudice di secondo grado si era attenuto, nel proprio giudizio, ai medesimi criteri internazionali indicati nella CTU, che fissano in una certa esposizione cumulativa all’amianto il presupposto di fatto per inferirne l’efficacia causale nell’insorgenza di patologie tumorali; pertanto, dovendo il nesso di causalità materiale accertarsi in materia civile secondo il criterio del “più probabile che non”, che indica la misura della relazione probabilistica concreta tra condotta ed evento dannoso e richiede un apprezzamento non isolato bensì complessivo ed organico dei singoli elementi indiziari o presuntivi a disposizione, doveva escludersi che la sentenza impugnata avesse violato l’art.2697 c.c., “avendo la Corte di merito deciso non già in funzione della regola di giudizio derivante dai criteri di ripartizione dell’onere probatorio, ma sulla base della prova positiva dell’insussistenza in specie di alcun nesso causale tra l’esposizione all’amianto e la patologia tumorale che condusse a morte il de cuius”.
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