Integra il reato di truffa aggravata la condotta del dipendente che utilizza un falso certificato medico per giustificare l’assenza dal lavoro
La vicenda
La Corte di Appello di Lecce aveva confermato la sentenza emessa all’esito di giudizio abbreviato dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brindisi con la quale l’imputato era stato dichiarato responsabile dei reati di falso e truffa aggravata, di cui all’art. 48 c.p., art. 481 c.p., commi 1 e 2, art. 61 c.p., n. 2 e art. 640 c.p., commi 1 e 2, art. 61 c.p., n. 2. L’accusa era quella di aver determinato, mediante inganno, il medico dell’Azienda Unità Sanitaria Locale a emettere un falso certificato per attestare che la malattia di cui soffriva (“gonalgia sx”) necessitava di 5 giorni di riposo e cure, ottenendo in questo modo la corresponsione per i giorni indicati, delle voci di retribuzione previste per i casi di malattia, mentre in realtà egli non aveva alcun bisogno di riposo e cure essendo stata, peraltro, accertata la sua presenza in una pizzeria ” dove consumava senza alcun problema la cena e ballava”.
Il ricorso per Cassazione
La vicenda è giunta dinanzi ai giudici della Suprema Corte di Cassazione. A detta della difesa la malattia diagnosticata all’imputato non era stata obiettivamente rilevata dal medico ma solo “riferita”. La Corte di appello avrebbe, pertanto, attribuito eccessiva importanza al dato formale dal quale aveva ritenuto di desumere la falsità della diagnosi travisando il dato probatorio di natura documentale.
Quanto poi alla presenza dell’imputato all’evento conviviale nel quale era stato sorpreso, quest’ultimo aveva sostenuto che la sua partecipazione, verificatasi alla vigilia della scadenza dei giorni di riposo, fosse compatibile con lo stato di malattia, o meglio che la patologia diagnosticata non fosse incompatibile con la partecipazione all’evento ed al ballo.
Tali argomenti non hanno convinto i giudici della Suprema Corte di Cassazione (Seconda Sezione Penale, sentenza n. 44578/2019) che hanno rigettato il ricorso perché manifestamente infondato.
Entrambi i giudici di merito, con sentenze costituenti c.d. “doppia conforme”, avevano adeguatamente analizzato il materiale probatorio posto a loro disposizione.
Del resto, in punto di diritto è pacifico che il reato di cui all’art. 481 c.p. può essere realizzato attraverso l’induzione in errore del soggetto chiamato ad emettere la certificazione medica mediante una falsa rappresentazione di una malattia (o di sintomi di essa) che di fatto sono risultati inesistenti. Il fatto che il sanitario chiamato ad emettere la certificazione non abbia proceduto ad effettuare un materiale accertamento diagnostico limitandosi a prendere atto della sintomatologia riferita dal paziente non consente di escludere l’inganno e quindi la falsità ideologica del documento emesso.
Quanto al reato di truffa è altrettanto pacifico che lo stesso si configuri nel caso di assenza retribuita dal luogo di lavoro documentato da una falsa certificazione sanitaria.
Per queste ragioni il ricorso è stato dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Avv. Sabrina Caporale
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