Figlia affetta da grave patologia, addebito al padre che se ne disinteressa

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figlia affetta da grave patologia

Giusto l’addebito della separazione al marito che abbandona il tetto coniugale demandando alla moglie l’assistenza della figlia affetta da grave patologia

Con l’ordinanza n. 27235/2020 la Cassazione si è pronunciata sul ricorso di un uomo contro la pronuncia con cui la Corte di appello, a conferma della decisione di primo grado, aveva pronunciato la separazione giudiziale tra lui e la moglie, con addebito a suo carico, assegnazione della casa coniugale alla ex coniuge, affidamento della figlia minore in via esclusiva alla madre, con regolamentazione delle modalità di frequentazione da parte del padre, da intensificarsi previo consulto con la terapeuta che aveva in cura la ragazza, e fissazione di un assegno mensile di 1.050,00 euro per il mantenimento di moglie (400 euro) e figlia (650 euro), oltre il 5% delle spese straordinarie nell’interesse di quest’ultima.

In particolare, i giudici d’appello, in punto di addebito, avevano sostenuto che andava confermata la valutazione del Tribunale, risultando, dall’istruttoria espletata, con assunzione di prove testimoniali, che l’uomo, in costanza della convivenza famigliare, si era totalmente disinteressato della grave patologia di cui era affetta la figlia (autismo), abbandonando il tetto coniugale a causa di un diverbio insorto con il suocero in merito a scelte terapeutiche riguardanti i genitori e la minore; ad avviso dei giudici della Corte di merito, doveva confermarsi l’affidamento in via esclusiva alla madre, non avendo il padre dimostrato un coinvolgimento personale in merito alle delicate condizioni di vita della minore, necessitante invece di cura ed assistenza continue.

La Corte distrettuale aveva confermato anche l’entità dell’assegno di mantenimento in favore della moglie e della figlia, valutando le rispettive condizioni reddituali e patrimoniali dei coniugi e le necessità della figlia minore (anche in punto di regime alimentare, estremamente costoso, ed essendo l’indennità di accompagnamento di 460 euro destinata alle sue cure mediche).

Nel rivolgersi alla Suprema Corte il ricorrente contestava la statuizione relativa all’addebitabilità della separazione, ma i Giudici Ermellini giudicavano la doglianza inammissibile.

La decisione del Giudice di appello, infatti, era conforme ai principi di diritto più volte enunciati dalla Cassazione secondo cui “l’abbandono della casa familiare, di per sé costituisce violazione di un obbligo matrimoniale, non essendo decisiva la prova della asserita esistenza di una relazione extraconiugale in costanza di matrimonio”. Pertanto, “il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all’impossibilità della convivenza, salvo che si provi – e l’onere incombe a chi ha posto in essere l’abbandono – che esso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto”.

Nella specie, il Collegio distrettuale aveva dato rilievo al comportamento reiterato del marito, di totale disinteresse, in costanza della convivenza famigliare, verso la grave patologia di cui era affetta la figlia (autismo), avendo questi proposto il ricovero in una struttura esterna per disabili, rifiutandosi di seguire le terapie cliniche e le condizioni di vita della bambina, non “affiancando” la moglie “nel complicato percorso di vita e crescita della figlia”, preferendo estraniarsi e delegare alla moglie ogni aspetto, con abbandono del tetto coniugale a causa di un diverbio insorto con il suocero in merito a scelte terapeutiche riguardanti i genitori e la minore.

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