Flogosi acuta ascessuale e shock settico del paziente (Cassazione penale, sez. IV, dep. 06/12/2022, n.46104).

Flogosi acuta ascessuale e conseguente shock settico e arresto cardiaco conducono il paziente alla morte.

La Corte di Appello di Catanzaro, ha confermato la sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale nei confronti degli imputati per aver cagionato, in cooperazione colposa tra loro, la morte del paziente.

Secondo l’ipotesi accusatoria, il decesso fu determinato da uno shock settico cui conseguì un arresto cardiaco.

I Sanitari imputati erano tutti in servizio presso il reparto di ortopedia della clinica ove il paziente era stato ricoverato per un intervento chirurgico di riduzione e sintesi di una frattura del femore destro.

Agli imputati è stato contestato: di aver erroneamente diagnosticato, in luogo di una flogosi acuta ascessuale in atto nella regione inguinale destra, una flogosi di minore gravità; di avere conseguentemente omesso di praticare una terapia idonea all’evacuazione e al drenaggio della raccolta ascessuale; di aver omesso di eseguire esame colturali sul materiale drenato finalizzati all’instaurazione di una terapia antibiotica mirata; di non avere contrastato l’insorgenza del processo settico che condusse al decesso.

I Giudici di merito hanno ritenuto che non fossero emersi “elementi univoci in ordine all’origine dell’infezione, alla sua natura, al preciso decorso e all’idoneità della stessa, per estensione ed entità, a cagionare la morte.

La Corte di Appello ha sottolineato, in particolare, che “le risultanze dibattimentali hanno evidenziato la possibile incidenza di fattori causali alternativi” – in specie, la possibile insorgenza di un evento embolico a livello polmonare – la cui operatività non è inverosimile, è anzi suffragata da significativi dati tecnici, e non è stata efficacemente smentita dai consulenti del Pubblico ministero e dal consulente della parte civile. Ha rilevato inoltre che, non essendo provata oltre ogni ragionevole dubbio la causalità della condotta, ogni valutazione in ordine alla causalità della colpa sarebbe stata superflua. Tale vaglio postula, infatti, “sul piano logico prima che giuridico, la possibilità di ricondurre l’evento all’agente sul piano materiale”.

La parte civile ricorre per Cassazione deducendo travisamento della prova, errata applicazione delle regole civilistiche del nesso causale e omessa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.

La ricorrente rileva che, nell’ipotizzare una serie causale alternativa, il Consulente tecnico della difesa non ha valutato l’aumento grave di leucociti. Osserva che quando fu eseguito l’intervento chirurgico di incisione e detersione dell’area infetta, il valore dei globuli bianchi calò da 45.000 a 36.000 e si ridusse ulteriormente nei giorni seguenti. Sostiene che la sentenza impugnata avrebbe ignorato questi dati attribuendo aprioristica verosimiglianza alla tesi sostenuta dal Consulente tecnico della difesa, secondo il quale, pur in presenza di un evidente stato settico, la morte potrebbe essere stata determinata da un processo morboso embolico instauratosi dopo che la paziente era stata trasferita.

Osserva che la mancata esecuzione dell’esame autoptico non consente di escludere il nesso causale in un caso nel quale la morte può essere attribuita in termini di elevata credibilità razionale ad un fenomeno patologico ben individuato quale è lo shock settico, provocato dalla flogosi acuta trascurata dagli imputati. Sottolinea che, con riferimento a tale causa di morte, un giudizio controfattuale avrebbe potuto essere compiuto e i Giudici di merito lo hanno ingiustificatamente omesso.

Ed ancora, nella valutazione della prova, ed in specie de nesso causale, la Corte territoriale si è attenuta alle regole del giudizio penale piuttosto che a quelle del giudizio civile. Difatti, quando il giudizio di appello si è svolto, il reato si era già estinto per prescrizione e l’impugnazione era stata proposta ai soli effetti civili, sicché la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare la prova attenendosi alle regole civilistiche e al criterio del “più probabile che non”.

La Suprema Corte non accoglie le censure.

Secondo la difesa, in presenza di consulenze tecniche di contenuto opposto, il Giudice sarebbe obbligato a nominare un perito essendogli precluso avvalersi ai fini della decisione di personali competenze scientifiche.

Gli Ermellini specificano che un accertamento peritale non è sempre obbligatorio: Le regole del contraddittorio impongono, infatti, che sia applicato un metodo scientifico e sia consentito alle parti di interloquire sulla validità dello stesso, ma non possono essere utilizzate per accreditare l’esistenza di un sistema di prova legale, che limiti la libera formazione del convincimento del giudice ogniqualvolta egli abbia necessità di avvalersi dei saperi di scienze diverse da quella giuridica.

Ed invero, il Giudice di merito, “può scegliere tra le diverse tesi prospettate dai consulenti delle parti, quella che ritiene condivisibile, purché dia conto con motivazione accurata ed approfondita, delle ragioni della scelta, nonché del contenuto della tesi disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti” (Sez. 4, n. 34747 del 17/05/2012, Parisi, Rv. 253512; Sez. 4, n. 8527 del 13/02/2015, Sartori, Rv. 263435; Sez. 3, n. 13997 del 25/10/2017, dep. 2018, P., Rv. 273159).

La sentenza impugnata non si è limitata a riferire il dato dell’assenza di un esame autoptico; ma ha sottolineato che la serie causale alternativa individuata dal consulente tecnico della difesa trova riscontro in alcuni dati obiettivi, rispetto ai quali non vi sono state controdeduzioni da parte dei consulenti dell’accusa pubblica e privata.

In particolare, come risulta dalla lettura della sentenza, nell’individuare in uno shock settico la causa della morte, i consulenti del Pubblico ministero e della parte civile, hanno attribuito rilievo  al fatto che “la glicemia era mal controllabile nonostante la terapia insulinica” e al manifestarsi di uno stato di agitazione, ma non hanno considerato il dato, illustrato e documentato da consulente della difesa, che la paziente era un soggetto diabetico grave e, come emerge dalla cartella clinica, pur sottoposta a terapia insulinica, mangiava di nascosto dolciumi; circostanza idonea, da se sola, a determinare l’alterazione dei valori glicemici, la difficoltà di controllarli e significative variazioni di quei valori cui possono conseguire alterazioni del sensorio.

La sentenza sottolinea poi che, un esame RX del torace evidenziò una patologia polmonare (“polmoni ed ili da stasi, opacamento basale bilaterale, cuore aumentato in toto”). Tale situazione era diversa rispetto a quella riscontrata dalla radiografia eseguita precedentemente (“non lesioni pleuro-parenchimali. Seni liberi. Cuore nei limiti”) e, secondo il consulente della difesa (non smentito sul punto dai consulenti dell’accusa), questo dimostra l’insorgenza di un processo morboso a livello polmonare.

Ebbene, i motivi di ricorso non contrastano tali argomentazioni e si limitano a ribadire a maggior verosimiglianza della tesi secondo la quale a morte fu determinata da shock settico.

La motivazione della sentenza impugnata non può essere considerata carente, contraddittoria né manifestamente illogica o contrastante con i principi ermeneutici che regolano la materia della responsabilità per colpa medica. Invero, “qualora sussistano, in relazione a pluralità di indagini svolte da periti e consulenti, tesi contrapposte sulla causalità materiale dell’evento, il Giudice, previa valutazione dell’affidabilità metodologica e dell’integrità delle intenzioni degli esperti, che dovranno delineare gli scenari degli studi e fornire adeguati elementi di giudizio, deve accertare, all’esito di una esaustiva indagine singole ipotesi formulate dagli esperti, la sussistenza di una soluzione sufficientemente affidabile, costituita da una metateoria frutto di una ponderata valutazione delle differenti rappresentazioni scientifiche del problema, in grado di fornire concrete, significative ed attendibili informazioni idonee a sorreggere l’argomentazione probatoria inerente lo specifico caso esaminato”.

Per quanto riguarda la errata applicazione delle regole del nesso causale, parte ricorrente sostiene che  la Corte territoriale avrebbe dovuto attenersi alle regole di valutazione della prova proprie del giudizio civile e, ritenuta “più probabile che non” la sussistenza del nesso causale, avrebbe dovuto prendere atto che la insussistenza del fatto non era evidente ai sensi dell’art. 129 c.p.p., comma 2 dichiarando l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

Ai sensi dell’art. 576 c.p.p. la parte civile può proporre appello, ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata in primo grado e, per giurisprudenza costante, in questi casi, anche se è intervenuta la prescrizione del reato contestato, il Giudice di appello “deve valutare la sussistenza dei presupposti per una dichiarazione di responsabilità limitata agli effetti civili e può condannare l’imputato al risarcimento del danno o alle restituzioni qualora reputi fondata l’impugnazione, in modo da escludere che possa persistere la sentenza di merito più favorevole all’imputato”.

La parte civile può chiedere al Giudice penale un accertamento incidentale sulle questioni penali (da valere solo virtualmente come una condanna) ai soli fini dell’accoglimento della sua domanda di restituzione o di risarcimento del danno causato dal reato, senza tuttavia poter ottenere alcun mutamento delle statuizioni sull’azione penale che, avendo consolidato il giudicato interno, restano formalmente immodificabili, in assenza dell’impugnazione del rappresentante della pubblica accusa.

In un reato già estinto per prescrizione, nel giudizio conseguente all’appello proposto ai soli effetti civili non si applicano le regole del giudizio civile. La circostanza che l’appello proposto dalla sola parte civile non possa incidere sulle statuizioni relative all’azione penale, infatti, non incide sulle regole di valutazione della prova che restano quelle del processo penale.

Nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva, mentre l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del nesso causale tra condotta ed evento, e cioè il ragionevole dubbio, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante dell’omissione dell’agente rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo, comportano l’esito assolutorio del giudizio.

La Suprema Corte rigetta il ricorso.

Avv. Emanuela Foligno

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