Non è configurabile l’aggravante della esposizione di cose alla pubblica fede nel caso di furto di un cellulare lasciato incustodito dal proprietario sul tavolino di un bar
Il furto del cellulare
Il Tribunale del Riesame di Genova aveva accolto il ricorso presentato nell’interesse dell’indagato, contro l’ordinanza del Tribunale della stessa sede che l’aveva sottoposto alla misura cautelare personale della custodia cautelare in carcere in relazione all’incolpazione provvisoria di cui all’art. 624 c.p. e art. 625 c.p., n. 4, per il furto di un cellulare lasciato momentaneamente incustodito dal proprietario sul tavolino di un bar, ed aveva, perciò, sostituito la misura in atto con quella dell’obbligo di dimora nel comune di residenza, disponendone la liberazione dalla misura restrittiva.
A ragione della propria decisione, il Collegio del Riesame aveva affermato che la misura cautelare gradata, imposta all’imputato, trovava giustificazione nella riqualificazione del fatto contestato nei termini del delitto di furto aggravato dall’esposizione della cosa sottratta alla pubblica fede, ai sensi dell’art. 624 c.p. e art. 625 c.p., n. 7.
Ma ad avviso della difesa tale ricostruzione era del tutto errata poiché non era rinvenibile né nel capo di imputazione, né nell’ordinanza, nessuna specifica indicazione – se non un timido riferimento alla collocazione del telefono cellulare sottratto su un tavolino di un bar – degli elementi in fatto atti ad integrare gli elementi costitutivi della circostanza aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 7. Anche la momentanea disattenzione del proprietario, nel lasciare il telefono cellulare appoggiato sul tavolino, ad avviso della difesa non sarebbe condotta suscettibile di essere sussunta in quella tipica dell’esposizione della cosa alla pubblica fede per necessità o per consuetudine.
La questione giuridica
La questione giuridica posta all’attenzione della Suprema Corte riguardava, dunque, la ricorrenza dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede in caso di furto di un oggetto, nella specie di un telefono cellulare, lasciato dal proprietario sul tavolino di un bar.
A tal proposito, la giurisprudenza della Suprema Corte ha già affermato che in tema di furto aggravato di cose esposte alla pubblica fede, il requisito della esposizione per “necessità” richiede che sia puntualmente accertata la sussistenza di una situazione determinata da impellenti e non differibili esigenze che abbiano impedito alla persona offesa di portare con sè o custodire più adeguatamente la “res” furtiva (Sez. 5, n. 33863 del 08/06/2018; Sez. 2, n. 33557 del 22/06/2016). Del pari è stato affermato che il requisito dell’esposizione per consuetudine, intendendosi per tale una pratica di fatto, generale e costante, rientrante negli usi e nelle abitudini generali di vita associata o di relazione, ancorchè non imposta da un’esigenza dalla quale non si possa prescindere, non è riconoscibile in relazione alla condotta di chi lasci la cosa incustodita per esigenze personali, quali la comodità, la dimenticanza o la fretta (Sez. 5, n. 44035 del 01/10/2014); lo è, invece, in relazione al comportamento di chi lasci il portafoglio all’interno di una borsa aperta e poggiata su una poltroncina di una discoteca, in quanto rientra nelle abitudini sociali e nella pratica di fatto lasciare incustodita la propria borsa da parte di chi in discoteca abbandoni temporaneamente il posto per andare a ballare (Sez. 5, n. 11423 del 17/12/2014).
La decisione
Ebbene, nel caso di specie vista l’assenza, nella motivazione di riferimenti sintomatici dell’impellente esigenza, che potrebbero avere indotto il proprietario a lasciare il telefono cellullare sul tavolino del bar – suscettibili di approfondimento da parte del giudice di merito, la Corte di Cassazione (Quinta Sezione Penale, sentenza n. 51255/2020) ha accolto il ricorso e annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata.
La redazione giuridica
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