Gastrectomia totale e successiva fistola dell’anastomosi esofago-digiunale.

Gastrectomia totale e insorgere di fistola con necessità di secondo intervento (Tribunale Spoleto, 09/09/2022, n. 590).

Gli eredi della paziente hanno convenuto in giudizio la Azienda Sanitaria e la Compagnia assicuratrice deducendo la responsabilità della Struttura per errore terapeutico causa del decesso della loro congiunta.

In particolare la donna veniva ricoverata il 2.06.2015 per sottoporsi ad intervento chirurgico, eseguito in data 3.06.2015, di gastrectomia totale e che già dal giorno seguente l’intervento e nei giorni successivi, la stessa accusava fortissimi dolori alla pancia.

Emergeva la presenza di una fistola dell’anastomosi esofago-digiunale che aveva provocato la presenza di aria e materiale purulento, con conseguente parziale compressione del lobo inferiore del polmone sinistro e la donna era stata sottoposta ad un nuovo intervento chirurgico il cui fine era quello di suturare la fistola.

Nonostante il secondo intervento la paziente aveva mostrato difficoltà respiratorie, ipotensione arteriosa e febbre. Le sue condizioni cliniche avevano continuato ad essere definite gravissime, dopo un breve trasferimento di nuovo in chirurgia dal 15.09.2015 al 21.09.2015, la paziente era stata trasferita in rianimazione dove, peggiorando ulteriormente la situazione clinica, era deceduta in data 29.09.2015.

Il Tribunale ritiene la domanda infondata.

Gli Attori hanno dedotto la responsabilità dell’Ospedale all’errore terapeutico compiuto dai Sanitari ovverosia, per un verso, nella errata esecuzione di una sutura chirurgica al termine della gastrectomia totale che aveva causato la formazione di un tramite fistoloso e, per altro verso, nella successiva ritardata esecuzione di un secondo e di un terzo approccio chirurgico finalizzati a suturare la fistola creatasi.

I CTU hanno evidenziato che la paziente all’epoca dei fatti aveva 68 anni ed era affetta da una neoplasia angolare dello stomaco documentata dalla gastroscopia con conseguente esame istologico (“carcinoma indifferenziato”) e dalla TAC del 20.05.2015, i marker tumorali (CA 19-9 e CEA) erano risultati nella norma. L’esame istologico definitivo ha poi confermato la diagnosi di carcinoma classificato pT3 – pN3 – G3, quindi un tumore infiltrante la parete gastrica a tutto spessore e con metastasi linfonodali.

Per i Consulenti l’indicazione all’intervento di gastrectomia totale andrebbe considerata corretta, posto che la localizzazione e l’estensione della neoplasia non consentiva una semplice resezione gastrica, ma necessitava obbligatoriamente di una gastrectomia totale per rispettare una corretta radicalità oncologica considerando che il carcinoma infiltrava la parete gastrica a tutto spessore. Gli stessi hanno poi indicato “complicanza più grave della gastrectomia totale, la formazione di fistole; dette fistole, nella maggior parte dei casi, si manifesterebbero come una fistola duodenale (sul moncone affondato) o sull’anastomosi esofagodigiunale….[….]…… Quindi si parla, in ogni caso, di una complicanza estremamente grave e di difficile gestione, che diventa ancora più grave quando vi è un coinvolgimento mediastinico e toracico. In tali casi, oltre agli opportuni drenaggi ed alla NPT, il posizionamento di una endoprotesi può essere l’unica soluzione possibile”.

In sintesi, ad avviso dei CTU è apparsa corretta, la scelta di non procedere ad una più semplice gastroresezione, perché non sicura dal punto di vista oncologico e di procedere invece ad una gastrectomia totale che avrebbe sicuramente dato una maggiore sicurezza dal punto di vista della radicalità oncologica, e non sono emersi errori o criticità nell’operato dei sanitari.

La consulenza espletata ha espressamente escluso la sussistenza del nesso causale tra la condotta degli ausiliari e l’evento morte della paziente, avendo affermato che “L’intervento di gastrectomia totale fu sostanzialmente corretto e così pure l’assistenza nei giorni successivi, ma in occasione del reintervento, una volta accertata la sede della fistola, era sicuramente opportuno posizionare una endoprotesi esofagea, unico presidio in grado di garantire un controllo totale o anche solo parziale della fistola permettendone una gestione più sicura ed efficace della grave complicanza in atto. In tale occasione non vi erano altre soluzioni possibili oltre quella di una vigile attesa con conseguente inevitabile decadimento delle condizioni generali come di fatto è avvenuto: dopo 21 giorni, quando finalmente si decise di posizionare l’endoprotesi, le condizioni della Pz erano talmente gravi che anche tale presidio risultò inefficace”.

I CTU hanno riconosciuto – eventualmente – una danno da perdita di chance di guarigione per la paziente, in conseguenza del “mancato posizionamento della endoprotesi a ridosso del II° intervento, avendo tale ritardo “ridotto in maniera significativa le chance di guarigione della Pz”.  

Tuttavia, tale posta risarcitoria non viene presa in considerazione dal Tribunale difettando la relativa domanda da parte degli attori.

La domanda viene respinta.

Avv. Emanuela Foligno

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