Solo qualche tempo fa si scriveva che  “i limiti di età [in materia di adozione] non vengono applicati rigorosamente, ma in maniera elastica dai giudici di merito. Ed invero il nuovo testo dell’art. 6 della legge 184/83 (come sostituito dall’art. 6 della legge 149/2001) pur mantenendo apparentemente in vita i limiti di età, in realtà li ha abrogati quasi del tutto.”
Il comma 6, dispone, peraltro, che non è preclusa l’adozione quando il limite massimo di età degli adottanti sia superato da uno solo di essi in misura non superiore a 10 anni, ovvero quando essi siano genitori di figli naturali o adottivi dei quali almeno uno sia in età minore, ovvero quando l’adozione riguardi un fratello o una sorella minore già degli stessi adottato.
La preoccupazione, tuttavia era la seguente: che la giurisprudenza, interpretando le nuove disposizioni nell’interesse del minore (ma poi, è davvero interesse del minore avere genitori-nonni?) finisse con il vanificare o abolire del tutto nella pratica le differenze di età tra adottanti e adottati.
Pare tuttavia che quest’oggi il Tribunale di Casale Monferrato, nel disporre l’allontanamento di una minore dai propri genitori biologici, non ne abbia fatto (solo) una questione di età.
Il caso.
Il caso è quello di una bambina nata nel 2010 a seguito di fecondazione assistita, da due coniugi in età avanzata: settant’anni il padre, cinquantasette la madre.
A pochi mesi dalla nascita la bambina era stata allontanata dalla coppia e dichiarata “adottabile”.
I genitori presentarono subito ricorso. Tuttavia, invano. Anche in secondo grado veniva confermato lo stato di adottabilità della minore che, nel frattempo, sarebbe rimasta con la famiglia adottiva.
Invero, i giudici di primo grado avevano evidenziato una situazione di totale mancanza di assistenza (e dunque di abbandono) da parte dei genitori, fondata, poi – a giudizio della Suprema Corte alla quale la coppia si rivolse – su presunzioni precise e concordanti: “il bambino non può essere sottoposto a rischi traumatici diretti a incidere in modo grave e definitivo sul suo sviluppo (tra le altre, Cass. n. 17198 del 2003).
Nella specie, i due genitori (-nonni) erano stati giudicati gravemente inadeguati in relazione alle esigenze di sviluppo della bambina.
Un giorno quest’ultima era stata trovata dai vicini nell’auto posteggiata sotto casa, mentre stava piangendo, in un vero e proprio stato di “abbandono”. Questi bussarono alla porta dell’abitazione; venne ad aprire il padre, il quale affermò che la situazione era sotto controllo: la piccola era in auto ed egli stava raggiungendola per andare a incontrare la madre che era presso un’amica; così tutti insieme sarebbero tornati a casa.
Gravi sarebbero state, dunque, le mancanze di attenzione nei confronti della bambina in quell’episodio, cosi come notevole sarebbe stata la sottovalutazione delle sue esigenze primarie.
La Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla vicenda, è tornata ad invocare l’ art. 1 della L. n. 184. “Esso – afferma – introduce una generale enunciazione di principi0 per cui il minore ha diritto di crescere ed essere educato nella propria famiglia. Non è tuttavia accettabile un’interpretazione del principio in senso assoluto: il minore dovrebbe essere educato sempre e comunque nella famiglia di origine (ciò contraddirebbe il contenuto stesso della L. n. 184 e i principi costituzionali: l’art. 30 Cost., comma 2, precisa che, anche in caso di incapacità dei genitori, devono essere comunque assicurati i compiti di educazione, mantenimento, istruzione dei figli).
Il significato dell’enunciazione che apre la L. n. 184, deve, allora, essere letto in un ottica diversa: il minore ha diritto a essere educato nella propria famiglia di origine finché ciò sia possibile ed è pertanto necessario individuare tutti gli strumenti di aiuto e sostegno ad esso, seguendo del resto le indicazioni dell’art. 31 Cost., perché essa possa assolvere ai suoi compiti educativi; ma quando questo programma non ottenga l’effetto sperato, si farà luogo all’adozione, sciogliendo ogni legame con la famiglia di origine” (Cass. n. 1108 del 2010).
Prima tuttavia di affrontare la questione più da vicino, i giudici della Suprema Corte si sono interrogati, in generale, sulla necessità di procedere all’adozione.
“Qual è il punto di rottura, al di là del quale si procede necessariamente all’adozione? Ed è possibile individuarlo con sicurezza sempre e comunque?”
Invero – affermano – “non alla figura di un minore astratto, né a tutti i minori di quell’età o di quell’ambiente sociale occorre guardare, ma a quel minore particolare, con la sua storia, il suo “vissuto”, le sue caratteristiche fisiche e psicologiche, la sua età, il suo grado di sviluppo. Allo stesso modo, non può dirsi che ogni irregolarità o ritardo nell’adempimento dei doveri genitoriali possa dar luogo ad adozione; varie possono essere le misure previste, da quelle amministrative di aiuto e sostegno alla famiglia, all’affidamento familiare; dalla decadenza o limitazione della potestà, con o senza allontanamento del minore o del genitore, fino all’adozione legittimante. E l’adozione si distingue nettamente dalle altre figure perché presuppone una situazione grave ed irreversibile (laddove il giudizio di gravità e irreversibilità va fatto – lo si ribadisce – con riferimento alla posizione del singolo minore) (Tra le altre, Cass. n. 16795 del 2009)”.
Ad ogni modo, l’esigenza è sempre la medesima: garantire una crescita armonica e compiuta del fanciullo.
L’età dei genitori c’entra poco…. o nulla.
Al contrario, precisa la Corte nel caso in esame, essa non ha rivestito alcuna importanza ai fini della dichiarazione dello stato di adottabilità della minore e, prima ancora, della valutazione sull’inadeguatezza e la mancanza di assistenza da parte di entrambi i genitori. L’elemento potrà semmai rilevare nella fase successiva, nel raffronto tra i coniugi richiedenti, ma non con riferimento ai genitori di origine.
La notizia ha fatto molto scalpore e ha suscitato l’attenzione dell’opinione pubblica e non solo. Sul punto è intervenuta anche l’ex Presidente del Tribunale dei Minori di Roma, Milano e Napoli Melita Cavallo, la quale ha affermato che “i giudici dei minori devono guardare all’interesse del bambino anche a costo di causare un grande dolore agli adulti“.

Avv. Sabrina Caporale

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