HCV da emotrasfusione e contagio del coniuge (Tribunale Catania, sez. III,  dep. 31/05/2022, n.2492) .

HCV da emotrasfusione e successivo contagio del coniuge.

Gli eredi dell’uomo deceduto espongono che al proprio dante causa, nel 1990, gli era stata riscontrata HCV positiva seguita nel 1991 da diagnosi di cirrosi epatica; che in data 26.1.1993 lo stesso decedeva per cirrosi epatica; che con verbale del 14.1.2008, trasmesso il 9.9.2010, era riconosciuto il nesso eziologico tra le trasfusioni subite dalla moglie e l’infermità di “epatopatia cronica HCV” riscontratale; successivamente chiedeva l’indennizzo ex L. 210/92 riconosciuto dal Tribunale.

Chiedono, iure ereditatis, il risarcimento dei danni subiti dal de cujus e iure proprio i danni dai medesimi subiti.

Con sentenza parziale n. 1992/2021 del 30.4.2021 il G.I.  rigettava la domanda di risarcimento iure ereditatis proposta dagli attori e rimetteva la causa in istruttoria.

Dalle risultanze della C.T.U. emerge che l’uomo era già affetto da epatite HCV correlata quando risultò positivo al relativo test ematico nel 1990, data in cui tale test fu disponibile; che vi è compatibilità tra il contagio da HCV da emotrasfusione della moglie e che rientra nell’alveo delle “possibilità” che il contagio del cujus si sia verificato attraverso la via sessuale con la medesima.

Secondo il criterio del più probabile che non, sussiste nesso causale tra le trasfusioni praticate alla moglie del de cujus e l’epatite HCV da essa contratta nonché il contagio da questa al marito.

In assenza di qualsivoglia prova in ordine a comportamenti e/o stili di vita del de cujus tali da far supporre una diversa eziologia dell’infezione, la stessa è da ritenersi conseguenza delle trasfusioni subite nel 1981 al 30%, come riconosciuto dal CTU.

Le Sezioni Unite hanno affermato la sussistenza in capo al Ministero convenuto “dell’obbligo di controllo, di direttiva e vigilanza in materia di impiego di sangue umano per uso terapeutico (emotrasfusioni o preparazione di emoderivati) anche strumentale alle funzioni di programmazione e coordinamento in materia sanitaria, affinché fosse utilizzato sangue non infetto e proveniente da donatori conformi agli standard di esclusione di rischi” e ritenuto che il giudice, “accertata l’omissione di tali attività, accertata, altresì, con riferimento all’epoca di produzione del preparato, la conoscenza oggettiva ai più alti livelli scientifici della possibile veicolazione di virus attraverso sangue infetto ed accertata – infine – l’esistenza di una patologia da virus HIV o HBV o HCV in soggetto emotrasfuso o assuntore di emoderivati, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell’insorgenza della malattia, e che, per converso, la condotta doverosa del Ministero, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito la verificazione dell’evento” (Cass., Sez. Unite, 2008/581, punto 8.11).

La Suprema Corte ha anche chiarito “come fosse già ben noto sin dalla fine degli anni 60 – inizi anni 70 il rischio di trasmissione di epatite virale, la rilevazione (indiretta) dei virus essendo possibile già mediante la determinazione delle transaminasi ALT ed il metodo dell’anti-HbcAg (cfr. Cass., 15/7/1987, n. 6241; Cass., 20/7/1993, n. 8069.

Ne consegue che, già all’epoca dei fatti incombeva sul Ministero della Salute il dovere di vigilare e di attivarsi per evitare, o quantomeno ridurre, il rischio di infezioni virali insito nella pratica terapeutica della trasfusione di sangue e dell’uso degli emoderivati.

Tuttavia, non risulta che nella specie il Ministero abbia assolto correttamente tale dovere, poiché la condotta doverosa dello stesso, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito la trasmissione dell’HCV da emotrasfusione contratto dalla moglie del de cujus allo stesso.

Per tali ragioni, accertata la responsabilità del Ministero, agli attori viene riconosciuto il diritto al risarcimento iure proprio dei danni patiti a causa del decesso del loro congiunto.

Avv. Emanuela Foligno

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