In mancanza di consenso informato l’intervento del medico è sicuramente illecito, come pure non è ammesso un consenso presunto, tacito o per facta concludentia

La vicenda

La Corte d’Appello di Milano aveva rigettato la domanda di risarcimento proposto dai familiari di una paziente deceduta all’esito di un’operazione di rimozione di “una voluminosa ernia discale calcificata dorsale”.

Per i due familiari della vittima la sentenza della corte milanese era errata nella parte in cui aveva ritenuto che la loro congiunta avesse prestato un valido consenso informato all’operazione, desumendolo per implicito o per facta concludentia in base al modulo firmato e in ragione della presenza di un altro parente, primario di radiologia presso lo stesso ospedale”, all’esecuzione dell’intervento.

Consenso informato e responsabilità risarcitoria

La Corte di Cassazione (Terza Sezione Civile, sentenza n. 32124/2019) ha ribadito che l’acquisizione da parte del medico del consenso informato costituisce prestazione altra e diversa da quella dell’intervento medico richiestogli, assumendo autonoma rilevanza ai fini dell’eventuale responsabilità risarcitoria in caso di mancata prestazione da parte del paziente. Trattasi, infatti, di due distinti diritti.

Il consenso informato attiene al diritto fondamentale della persona all’espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, e quindi alla libera e consapevole autodeterminazione del paziente, atteso che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge (anche quest’ultima non potendo peraltro in ogni caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana: art. 32 Cost., comma 2).

Il trattamento medico terapeutico ha viceversa riguardo alla tutela del (diverso) diritto fondamentale alla salute (art. 32 Cost., comma 2).

La giurisprudenza ha già chiarito che in mancanza di consenso informato l’intervento del medico è (al di fuori dei casi di trattamento sanitario per legge è obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità) sicuramente illecito, anche quando sia nell’interesse del paziente (v. Cass., 8/10/2008, n. 24791), costituendo l’obbligo del consenso informato, legittimazione e fondamento del trattamento sanitario (v. Cass., 16/10/2007, n. 21748).

Trattasi, invero, di un obbligo che attiene all’informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente viene sottoposto, al fine di porlo in condizione di consapevolmente consentirvi.

A tale stregua, l’informazione deve in particolare attenere al possibile verificarsi, in conseguenza dell’esecuzione del trattamento stesso, dei rischi di un esito negativo dell’intervento e di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente, ma anche di un possibile esito di mera “inalterazione” delle medesime (e cioè del mancato miglioramento costituente oggetto della prestazione cui il medico-specialista è tenuto, e che il paziente può legittimamente attendersi quale normale esito della diligente esecuzione della convenuta prestazione professionale), e pertanto della relativa sostanziale inutilità, con tutte le conseguenze di carattere fisico e psicologico (spese, sofferenze patite, conseguenze psicologiche dovute alla persistenza della patologia e alla prospettiva di subire una nuova operazione, ecc.) che ne derivano per il paziente (cfr. Cass., 13/4/2007, n. 8826).

Il dovere di informazione della struttura sanitaria e del medico

La struttura e il medico hanno dunque il dovere di informare il paziente in ordine alla natura dell’intervento, a suoi rischi, alla portata dei possibili e probabili risultati conseguibili nonché delle implicazioni verificabili, esprimendosi in termini adatti al livello culturale del paziente interlocutore, adottando un linguaggio a lui comprensibile, secondo il relativo stato soggettivo ed il grado delle conoscenze specifiche di cui dispone (v. Cass., 19/0/2019, n. 23328; Cass., 4/2/2016, n. 2177; Cass., 13/2/2015, n. 2854).

Al riguardo la giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che “il consenso informato va acquisito anche qualora la probabilità di verificazione dell’evento sia così scarsa da essere prossima al fortuito o, al contrario, sia così alta da renderne certo il suo accadimento, poiché la valutazione dei rischi appartiene al solo titolare del diritto esposto e il professionista o la struttura sanitaria non possono omettere di fornirgli tutte le dovute informazioni” (v. Cass., 19/9/2014, n. 19731).

A fronte dell’allegazione di inadempimento da parte del paziente è onere della struttura e del medico provare l’adempimento dell’obbligazione di fornirgli un’informazione completa ed effettiva sul trattamento sanitario e sulle sue conseguenze, senza che sia dato presumere il rilascio del consenso informato sulla base delle qualità personali del paziente, potendo esse al più incidere sulle modalità dell’informazione, che comunque deve sostanziarsi in spiegazioni dettagliate ed adeguate al livello culturale del paziente, con l’adozione di un linguaggio che tenga conto del suo particolare stato soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche di cui dispone (v. Cass., 20/8/2013, n. 19920).

L’acquisizione del consenso informato con modalità improprie

È stato poi, ulteriormente affermato che la struttura e il medico possono venir meno all’obbligo di fornire un valido ed esaustivo consenso informato al paziente non solo quando omettono del tutto di riferirgli della natura della cura prospettata, dei relativi rischi e delle possibilità di successo, ma anche quando acquisiscano con modalità improprie il consenso dal paziente (v. Cass., 21/4/2016, n. 8035).

È ad esempio, inidoneo il consenso ottenuto mediante la sottoposizione alla sottoscrizione del paziente di un modulo del tutto generico, non essendo possibile in tal caso desumere con certezza che il medesimo abbia ricevuto le informazioni del caso in modo esaustivo ovvero oralmente.

Si tratta comunque di una inidoneità relativa e non assoluta, dovendo sempre valutarsi le modalità concrete del caso.

La decisione

Ebbene, nel caso in esame, i giudici della Corte di Cassazione hanno ritenuto che la corte d’appello avesse fatto buon governo dei richiamati principi di diritto.

Era “documentalmente provato e comunque pacifico che la paziente avesse sottoscritto un modulo di consenso informato nel quale, tra l’altro, si leggeva:… dichiaro di essere a conoscenza che le mie condizioni generali mi espongono alle seguenti complicanze aggiuntive: emorragia intra e post operatorie, deficit sensitivo/motorio agli arti inferiori, disturbi post operatori, infezioni post operatorie”; e che “mentre la parte precedente del modulo [era]dattiloscritto, le parole da “emorragia” a “infezioni post operatorie” erano manoscritte; “tali indicazioni davano adeguatamente conto dei rischi dell’intervento perché facevano riferimento sia alle infezioni post-operatorie che al deficit sensitivo motorio agli arti inferiori”.

Come premesso, non è ammissibile un consenso presunto, tacito o per facta concludentia, tuttavia “è ben possibile desumerlo da indizi relativi ad un certo momento temporalmente definito, in cui c’era stata effettiva richiesta ed effettiva percezione del consenso (Cass. 27.11.2012, n. 20984)”.

In definitiva, la sentenza è stata confermata e rigettato in via definitiva il ricorso dei due congiunti.

Avv. Sabrina Caporale

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