L’intervento di impianto di valvola cardiaca era necessario ed adeguato, svolto senza errori da parte dei Sanitari nella scelta e nell’impiego del tipo di valvola e gli stessi non potevano sapere dei difetti delle protesi (Corte d’Appello di Torino, Sez. I, Sentenza n. 486/2021 del 04/05/2021 RG n. 392/2019)

Con atto di citazione la paziente e i suoi congiunti convenivano in giudizio avanti al Tribunale di Torino il Primario, due Medici e l’Azienda Sanitaria Ospedaliera San Giovanni Battista di Torino per ottenerne la condanna, in via solidale secondo le rispettive quote di responsabilità, al risarcimento dei danni riportati in occasione di interventi cardiochirurgici per l’impianto di valvola cardiaca e ricoveri presso l’Azienda Ospedaliera di Torino.

La paziente deduceva che sin dal 1973 soffriva di cardiopatia a causa di un’insufficienza valvolare ed aortica; che in data 31.01.2001 veniva ricoverata presso il reparto di cardiochirurgia dell’Ospedale e sottoposta ad un intervento di “sostituzione della bioprotesi mitralica con una protesi meccanica di TRI -T diam. 27 + sostituzione valvolare aortica con protesi meccanica di TRI -T diam 32” dall’equipe composta dai tre Professionisti citati a giudizio; che dal 20.02.2001 al 12.03.2001 era stata trasferita presso la Casa di Cura per trattamento riabilitativo; che successivamente, poiché le condizioni di salute non erano migliorate, era stata sottoposta ad ulteriori controlli nel corso del 2002 e il 21. 10.2002 l’Ospedale aveva comunicato che il Ministero della Salute, poiché era emerso che le valvole di produzione TRI Technologies, simili a quella a lei applicata, potevano essere difettose, aveva richiesto di effettuare una verifica del funzionamento di tali protesi; che l’attrice era stata pertanto nuovamente ricoverata e sottoposta a ulteriore intervento con sostituzione della protesi mitralica e aortica; che erano seguiti nuovo percorso riabilitativo e altro ricovero dal 19.12.2002 al 24.01.2003 presso l’Ospedale di Orbassano, dal 3 al 15.05.2003 presso l’Ospedale di Moncalieri e dal 15.01.2004 presso una Clinica di Novara per essere sottoposta ad un nuovo intervento chirurgico di “fissaggio del distacco paraprotesico micro-aortico mediante punti staccati”.

Si costituiscono in giudizio tutti i convenuti chiedendo l’autorizzazione alla chiamata in causa per manleva delle rispettive Compagnie d’Assicurazione, mentre l’azienda Ospedaliera chiedeva di chiamare in causa il Produttore della protesi TRI Technologies Ltda, società con sede in Brasile), l’importatore (Sartori & CIE Mast Bio Medical con sede in Montecarlo), il fornitore italiano (For Med srl in liquidazione ) e l’organismo di certificazione ( TUV Product Service GmbH , società tedesca).

Il Tribunale di Torino con sentenza n. 6414/12 del 6.11.2012 rigettava la domanda proposta dalla signora nei confronti dei convenuti; dichiarava assorbite le domande proposte dall’Azienda Ospedaliera San Giovanni Battista nei confronti dei terzi chiamati e dichiarava integralmente compensate le spese di lite tra tutte le parti in causa.

Il Tribunale richiamava le risultanze della CTU e quelle del parallelo procedimento penale (definito in primo e secondo grado), e affermava che l’intervento era tecnicamente necessario ed adeguato, eseguito con perizia e diligenza, senza errori da parte degli operatori nella scelta e nell’impiego del tipo di valvola e che i convenuti non potevano rendersi conto dei difetti che presentavano le protesi TRI perché essi riguardavano la fase di materiale realizzazione di ogni singola valvola e non quella di progettazione. Evidenziava, inoltre, che mancava una domanda diretta di parte attrice verso i produttori, certificatori e distributori delle valvole difettose.

La paziente proponeva gravame e con sentenza n. 64 del 18.01.2016 la Corte d’Appello di Torino in parziale riforma della sentenza di primo grado:

  • condannava l’Azienda Ospedaliera e il prof. DI SUMMA in solido tra loro al pagamento della somma di euro 54 .000 in linea capitale, con devalutazione alla data del fatto lesivo (31.01.2001) e interessi legali sulla somma di anno in anno rivalutata secondo gli indici Istat;
  • compensava per un terzo le spese di lite e condannava l’Azienda Ospedaliera e il Primario in solido tra loro al rimborso degli altri due terzi liquidati in euro 7.500 quanto al primo grado e in euro 6.400 quanto al secondo grado, oltre accessori di legge;
  • condannava la Tri Technologies Ltda e la For Med srl in solido tra loro a manlevare la Toro Assicurazioni spa e l’Azienda Ospedaliera Città della Salute di quanto pagato per capitale, interessi e spese;

Avverso la sentenza di appello proponevano ricorso principale e con sentenza n. 31966/2018 dell’11.12.2018 la Corte di Cassazione accoglieva i motivi 1 e 4 del ricorso principale e i due motivi del ricorso incidentale dell’Azienda Ospedaliera, cassando la sentenza di appello con rinvio alla Corte d’Appello di Torino in diversa composizione anche sulle spese.

In particolare la Cassazione riteneva che “il decidente abbia fatto malgoverno dei principi che regolano gli oneri probatori in materia di responsabilità sanitaria. E invero, avendo i ricorrenti allegato e provato la ricorrenza di un inadempimento qualificato (ossia l’impianto di una valvola difettosa) tale da comportare di per sé, in assenza di fattori alternativi più probabili, la presunzione della derivazione dei successivi interventi e ricoveri dalla condotta inadempiente, spettava ai convenuti l’onere di fornire un a prova idonea a superare tale presunzione secondo il criterio generale di cui all’art. 2697, comma 2,c.c. (Cass. sez. un., 11/1/2008, n. 577 e giurisprudenza successiva). Nella fattispecie, essendo rimasta oscura la causa degli interventi successivi al primo, spettava ai convenuti dimostrare il verificarsi di una causa imprevedibile ed inevitabile che aveva reso necessari gli ulteriori interventi sulle valvole impiantate alla paziente (Cass. 26/07/2017, n. 18392; Cass. 07/12/2017, n.29315; Cass. 19/07/201 8, n. 19204).”

Ed ancora, la Corte di Cassazione osservava che: “La decisione impugnata fa malgoverno del disposto dell’art. 1218 c.c., in base al quale il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. In sostanza, così come gli altri convenuti, sono stati ritenuti responsabili per mancato assolvimento dell’onere di provare di avere adempiuto diligentemente alle proprie obbligazioni, non incombeva sulla parte attrice l’onere di dimostrare la consapevolezza della provenienza e della irregolarità dell’acquisto delle valvole, spettando piuttosto ai convenuti di avere esattamente adempiuto alla propria obbligazione ovvero che l’inadempimento era stato determinato da causa a lui non imputabile; con la precisazione che non è qui in contestazione la corretta esecuzione o meno dell’operazione medico -chirurgica di installazione della protesi, ma di quali siano gli obblighi di diligenza e di prudenza esistenti a carico di ciascun componente dell’equipe medica, a fronte della scelta di impiantare quella specifica valvola, risultata difettosa, considerando che la Corte territoriale ha riconosciuto, sulla scorta delle evidenze emerse dalla CTU, che: a) il malfunzionamento della valvola fu causato proprio dalle sue caratteristiche, b) si trattava di un prodotto innovativo, anche se non sperimentale; c) tale sua caratteristica accentuava l’onere di dimostrare di avere adottato tutti gli accorgimenti necessari ad accertare che fosse il prodotto più adatto da impiantare; d) non era “impossibile” per gli operatori apprezzare in sede di esecuzione chirurgica la presenza di alterazioni valvolari del tipo di quelle identificate nel caso in esame.”

Ed infine, in relazione ai due motivi di ricorso incidentale proposto dall’Azienda Ospedaliera la Cassazione li accoglieva osservando: “È consolidato principio giurisprudenziale quello secondo cui è consentito al giudice, solo con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Cass. 07/05/2018, n.10912), perché il potere discrezionale conferito al giudice del merito di liquidare il danno in via equitativa ex artt. 1226 e 2056 c.c. non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, solo quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito (Cass. 13/10/2017, n.24070).”

Il giudizio veniva riassunto dinanzi alla Corte d’Appello chiedendo, in relazione al primo motivo di ricorso, che, eventualmente previa CTU medico legale, fosse accertato il danno successivo al primo intervento (31.01.2001) e sino al 2004 con condanna di tutti e tre i convenuti al risarcimento dello stesso; in relazione al quarto motivo di ricorso chiedevano che il terzo medico dell’equipe dott. F. fosse condannato alla restituzione della somma ricevuta dagli attori a titolo di spese di lite per il secondo grado, in esecuzione della sentenza d’appello.

Preliminarmente la Corte d’Appello dà atto che l’eccezione di estinzione del giudizio è fondata.

Al riguardo la giurisprudenza di legittimità è granitica nell’affermare che, stante la perfetta correlazione, quanto al rapporto processuale, tra iudicium rescindens e iudicum rescissorium , il giudice di rinvio deve disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutte le parti nei confronti delle quali sono state pronunciate la sentenza di annullamento e quella cassata e perciò, annullata la sentenza di appello e disposto il rinvio per il nuovo esame della causa, non può ritenersi istituito tale rapporto avanti al giudice di rinvio se non vengono chiamati in giudizio tutte le parti nei confronti delle quali è stata pronunciata la sentenza impugnata o cassata.

Si discorre, dunque, di litisconsorzio necessario processuale e viene evidenziato che si tratta di un fenomeno del tutto diverso dal litisconsorzio necessario e da quello facoltativo, in quanto le norme di cui agli artt. 102 e 103 c.p. si riferiscono alla necessità o alla opportunità che più persone agiscano o siano convenute nello stesso processo, laddove il fenomeno di cui si tratta presuppone che più persone abbiano già agito o siano convenute nello stesso processo, che cioè, abbiano assunto la qualità di parte e che sia necessario pervenire ad una decisione unica nei loro confronti, ed il corollario che si desume da questa impostazione, è che, pur potendosi il giudizio di rinvio ritenere tempestivamente instaurato con la citazione in riassunzione anche di una soltanto di dette parti entro il termine di legge, quando si tratta dello svolgimento del giudizio di rinvio in sede di appello, il giudice del gravame non può esimersi dal disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre parti al le quali non sia stata effettuata la notificazione dell’atto introduttivo.

Tali principi risultano consolidati nella giurisprudenza di legittimità a partire anche da epoca risalente.

Trattandosi appunto di litisconsorzio necessario processuale, non è rilevante né la allegata (in)sussistenza di un interesse della parte attrice alla partecipazione nel presente giudizio di rinvio dei terzi chiamati, né la scindibilità o inscindibilità delle cause nelle fasi di primo e secondo grado.

Ciò posto, il Giudice di appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, oltre a condannare i convenuti al risarcimento dei danni liquidandoli in euro 54.000, condannava anche i l terzo chiamato Generali Italia spa a manlevare il Primario di quanto da lui pagato per capitale, interessi e spese e condannava TRI Technologies Ltda e For Med srl in solido tra loro a manlevare Toro Assicurazioni e Azienda Ospedaliera da quanto pagato per capitale, interessi e spese.

Sebbene nessuna delle parti condannate in manleva (Generali Italia spa, TRI Technologies Ltda e For Med srl) abbia impugnato in Cassazione tale condanna -che pertanto può ritenersi divenuta definitiva – non è tuttavia predicabile la loro estraneità al giudizio di Cassazione -e di rinvio -, in cui sia controverso il quantum debeatur.

In altri termini, se nei loro confronti è passata in giudicato la pronuncia con la quale il Giudice di appello che ha accertato l’esistenza di un obbligo di manleva, la prosecuzione del giudizio prima in Cassazione, e poi in rinvio, non è ad essi estraneo, proprio perché ha per oggetto il quantum debeatur.

Ebbene, il rinvio, per effetto del contenuto della sentenza della Cassazione, ha per oggetto la corretta quantificazione del risarcimento dei danni in favore della paziente che deduce di essere stato liquidato in misura inferiore a quanto dovuto, e che l’Azienda Ospedaliera lamenta essere stato immotivatamente eccedente i criteri di quantificazione equitativa del danno non patrimoniale.

Pacifico che è questo l’oggetto del giudizio di rinvio, Generali Italia spa, TRI Technologies Ltda e For Med srl devono ritenersi parti del giudizio in virtù del loro obbligo di manleva.

Non sono state citate correttamente in rinvio proprio le parti interessate alla quantificazione definitiva del loro obbligo di manleva.

Ne consegue l’estinzione non solo del giudizio di rinvio, ma dell’intero processo con conseguente caducazione di tutte le sentenze emesse, escluse quelle coperte di giudicato.

In conclusione, la Corte d’Appello di Torino dichiara l’estinzione del giudizio.

Avv. Emanuela Foligno

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