L’ inadempimento del sanitario va parametrato non tanto sulla base degli interessi, dei bisogni e delle speranze del paziente (e quindi delle sue aspettative) quanto sui doveri inerenti allo svolgimento professionale in riferimento al caso concreto

Questo è quanto ha stabilito dal Tribunale Parma con la sentenza n. 175 depositata il 2 febbraio 2018, Giudice Unico Dott. Nicola Sinisi.

I fatti.

Una donna, dopo avere effettuato una scintigrafia che accertava una probabile formazione adenomatosa paratiroidea caudalmente al lobo sinistro, effettuati ulteriori accertamenti diagnostici, veniva ricoverata presso una Clinica di Parma con diagnosi di “iperparatiroidismo primitivo” e sottoposta, nella stessa giornata, ad un intervento chirurgico, nel corso del quale i sanitari preposti procedevano all’asportazione della ghiandola paratiroide inferiore di sinistra.

Nel corso dell’intervento venivano asportate anche altre due ghiandole paratiroidee sospette per adenoma. In seguito la donna veniva sottoposta a ulteriori accertamenti medici  e in seguito ad una scintigrafia effettuata presso l’Arcispedale di Reggio Emilia,  si evidenziava un quadro invariato rispetto al preintervento. Successivamente alla donna veniva diagnosticato un verosimile iperparatiroidismo primitivo recidivato, e si rendeva necessario un nuovo intervento di paratiroidectomia.

La paziente promuoveva un giudizio nei confronti dell’A.O.U. di Parma attribuendo a colpa (per negligenza o imperizia) dei suoi sanitari la responsabilità nella causazione del danno patito, chiedendo risarcimento. La convenuta Clinica nel costituirsi deduceva che il danno lamentato non fosse ascrivibile, sul piano causale, alla condotta del sanitari quanto l’attrice aveva disatteso i loro suggerimenti, preferendo percorrere altre strade, con riflessi anche ex art. 1227, primo o secondo comma c.c..

A che titolo risponde la struttura sanitaria dei danni patiti dal paziente?

Il Tribunale di Parma osserva, in primis, che la struttura sanitaria risponde dei danni patiti dal paziente per fatto proprio, ex art. 1218 c.c., ove tali danni siano dipesi dall’inadeguatezza della struttura ovvero per fatto altrui, ex art. 1228 c.c., ove i danni siano dipesi dalla colpa dei sanitari di cui essa si avvale (cfr. CASS. Sez. III, 5/12/2013, n. 27285). L’inadempimento va parametrato non tanto sulla base degli interessi, dei bisogni e delle speranze del paziente (e quindi delle sue aspettative) quanto sui doveri inerenti allo svolgimento professionale in riferimento al caso concreto (cfr. CASS. Sez. III, 5/11/2013, n. 24801).

Nel caso in cui la responsabilità medica venga invocata sul presupposto che fra il paziente ed il medico e/o la struttura sanitaria sia intercorso un rapporto contrattuale o da “contatto”, la distribuzione, inter partes, dell’onere probatorio riguardo al nesso causale deve tenere conto della circostanza che la responsabilità è invocata in forza di un rapporto obbligatorio corrente fra le parti ed è dunque finalizzata a far valere un inadempimento oggettivo.

Qual è la conseguenza?

Per il paziente/danneggiato, l’onere probatorio in ordine alla ricorrenza del nesso di causalità materiale, nel caso in cui l’impegno curativo sia stato assunto senza particolari limitazioni circa la sua funzionalizzazione a risolvere il problema che egli presentava, si sostanzia nella prova che l’esecuzione della prestazione si è inserita nella serie causale che ha condotto all’evento di danno, rappresentato o dalla persistenza della patologia per cui era stata richiesta la prestazione, o dal suo aggravamento, fino ad esiti finali costituiti dall’insorgenza di una nuova patologia o dal decesso del paziente (cfr.  CASS. Sez. III, 12/09/2013, n. 20904; conf. Sez. III, 18/07/2013, n. 17573).

E’, invece, a carico dell’ente ospedaliero la prova che la prestazione professionale è stata eseguita in modo diligente e che gli esiti peggiorativi sono stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile (cfr. CASS. SS. UU. nn. 577-581/2008; conf. la successiva Cass. n.10743/2009; più di recente Trib. Reggio Emilia 3.4.2013 n.618).

Nel caso de quo il lamentato danno, è rappresentato dalla persistenza della patologia per cui era stata richiesta e fornita la prestazione.

La posizione del Tribunale.

Il Tribunale, dalla espletata istruttoria, ha ricavato che vi sia stato un inadeguato studio preoperatorio dal quale è conseguita una pianificazione non corretta dell’intervento ed il suo sostanziale fallimento, in quanto emerge dagli atti che già nel postoperatorio si poteva cogliere dai livelli ematici persistentemente elevati di PTH.

In definitiva la colpevole trascuratezza del primo chirurgo ha fatto si che il primo intervento risultasse non risolutivo e  nella fattispecie il lamentato danno, è rappresentato proprio dalla persistenza della patologia per cui era stata richiesta e fornita la prestazione.

Il risarcimento del danno morale/esistenziale…

L’attrice chiede ristoro del danno morale/esistenziale patito. I comportamenti e la sua qualità della vita in generale, dopo gli interventi, sono stati descritti dai testimoni, che hanno riferito che la donna ha cambiato il suo stile di vita, essendo affetta da attacchi di panico che le impedivano anche le commissioni più semplici.

Orbene, come affermata dalla giurisprudenza di legittimità alla luce della sentenza chiarificatrice n. 26972/2008 pronunciata dalle Sezioni Unite, il danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, costituisce una categoria unitaria, comprensiva di ogni pregiudizio subito dalla persona, non esaurendosi nel danno morale soggettivo (consistente nell’ingiusto turbamento dello stato d’animo in conseguenza dell’offesa arrecata), laddove il riferimento ai vari aspetti del pregiudizio diversamente qualificati (danno morale, danno biologico, danno esistenziale, da perdita del rapporto parentale, etc.) risponde ad esigenze meramente descrittive delle possibili configurazioni che il pregiudizio può assumere senza minarne l’essenza ontologicamente unitaria.

… e il compito del giudice: accertare le ripercussioni negative

Il giudice deve accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio dedotto sul piano non patrimoniale individuando, sulla base delle allegazioni svolte, quali ripercussioni negative si siano in concreto verificate sulla persona che assume la lesione a prescindere dalla denominazione attribuitale.

Su questo assunto si fonda l’affermazione resa dalla citata sentenza a Sezioni Unite secondo cui il danno non patrimoniale, sia che consegua ad una fattispecie di reato, sia che venga determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona secondo una chiave di lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., costituisce danno-conseguenza, che come tale deve essere allegato e provato al pari del danno patrimoniale, dovendosi consentire all’interprete di valutare se si tratti di un mero turbamento dell’animo secondo l’accezione originaria elaborata a suo tempo dalla giurisprudenza (danno morale soggettivo) ovvero contempli ulteriori degenerazioni patologiche della sofferenza che vadano ad incidere su altri aspetti esistenziali sussumibili in un’ampia gamma di possibili ripercussioni, che vanno dall’alterazione della vita di relazione alla compromissione della dimensione esistenziale, dalla perdita di qualità della vita alla privazione di chances e via dicendo (cfr. di recente Trib. Roma sez.I 6/06/2017 n. 11515).

La mancanza di danno biologico non esclude, quindi e di per sé, la configurabilità del danno morale soggettivo e di quello dinamico-relazionale, quale conseguenza autonoma della lesione (cfr. ad es. CASS. Sez.III, 14/01/2014, n. 531).

Pertanto, il Tribunale di Parma tenendo  conto delle vicissitudini sanitarie che hanno visto coinvolta l’attrice e del peggioramento della sua qualità ha ritenuto di liquidare Euro 10.000,00 a titolo di danno morale/esistenziale.

Avv. Maria Teresa De Luca

 

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