Incendio appiccato in un fienile, genitori condannati a risarcire

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No alla copertura assicurativa invocata dai genitori di un ragazzo con tendenze piromani, condannati a risarcire la parte lesa per l’incendio provocato dal figlio

Con l’ordinanza n. 8895/2020, la Corte di Cassazione ha confermato l’obbligo risarcitorio della famiglia di un ragazzo, all’epoca dei fatti diciassettenne, accusato di aver provocato un incendio in un fienile. Citati  in giudizio, i genitori si erano costituiti negando la responsabilità del figlio e chiedendo, comunque, la chiamata in causa di una compagnia assicurativa, con la quale avevano un contratto per la copertura dei danni causati dai membri della famiglia, e dalla quale dunque pretendevano di essere garantiti in caso di condanna al ristoro.

L’Assicurazione si era costituita a sua volta eccependola la decadenza dalla garanzia assicurativa e sostenendo, ma facendone altresì oggetto di una domanda riconvenzionale, che gli assicurati avevano taciuto una circostanza determinante, ossia la malattia del figlio, il morbo di Klinefelter, che induce ad una certa piromania.

Il Giudice di primo grado aveva ritenuto fondata questa eccezione, e la relativa domanda riconvenzionale, dichiarando dunque la decadenza dei convenuti dalla garanzia assicurativa. Madre e padre del giovane, nel frattempo divenuto maggiorenne, avevano proposto appello ma anche la Corte territoriale aveva confermato la decisione di primo grado quanto alla decadenza dalla garanzia.

Nello specifico, il Collegio distrettuale aveva ritenuto che, sebbene il disturbo psichico di piromania fosse stato diagnosticato nel 2006, tuttavia già all’epoca della sottoscrizione della polizza, nel 1998, la condizione del minore era nota, e note erano le sue tendenze a comportamenti anomali, ed in alcuni casi rivolti al danneggiamento.

Pertanto l’attenzione dei genitori avrebbe dovuto essere maggiore del normale controllo che si esercita sui figli.

Inoltre, l’omissione era da ritenersi rilevante ai fini della copertura assicurativa. Da li la condanna del ragazzo, in solido con i genitori, al risarcimento dei danni per l’incendio appiccato, ritenendo che l’autore all’epoca dei fatti fosse, si, affetto da quel disturbo ma capace di intendere e di volere.

Nel ricorrere per cassazione i convenuti eccepivano, tra gli altri motivi, l’erroneità della pronuncia di secondo grado nella parte in cui aveva ritenuto reticenti le dichiarazioni degli assicurati in ordine alla malattia del ragazzo, senza considerare tuttavia che tale patologia era stata diagnosticata nel 2006, mentre il contratto era stato concluso nel 1998, e che dunque al momento della stipula i genitori non potevano conoscere ciò che solo molti anni dopo sarebbe stato accertato. Né poteva dirsi corretta la decisione impugnata per via del fatto che, accertato il rinnovo annuale della polizza, aveva considerato che gli assicurati ben potevano, al momento di tale rinnovo, dichiarare la malattia del figlio, una volta venutine a conoscenza. Infatti, secondo i ricorrenti, la polizza non si rinnovava automaticamente, piuttosto il frazionamento annuale era riferito al premio assicurativo, e non già al rinnovo.

I ricorrenti attribuivano poi alla corte di merito di avere ritenuto in modo immotivato, e senza che vi fossero prove, la colpa o il dolo dei genitori nel fatto di aver taciuto la malattia del figlio, elemento soggettivo invece da escludersi in ragione della insorgenza o della diagnosi successiva alla stipula. Inoltre, a loro avviso, la corte di merito aveva errato, motivando non sufficientemente e comunque omettendo di considerare fatti probatori rilevanti (errore percettivo) quanto alla circostanza che la compagnia di assicurazione aveva omesso, nel questionario presentato agli assicurati, di chiedere informazioni specifiche sulle circostanze rilevanti, come quella della malattia del figlio.

Per la Cassazione, tuttavia, il ricorso è infondato.

Le censure proposte, secondo gli Ermellini, muravano tutte a smentire un accertamento in fatto, sotto l’apparente rubrica della violazione di legge. Invero, la corte aveva accertato che, sin dal 1998, il minore manifestava comportamenti che avrebbero dovuto indurre i genitori ad una maggiore attenzione, e per i quali era in cura psicologica. Parimenti insindacabile era l’elemento soggettivo, la cui sussistenza (dolo o colpa) era stata adeguatamente motivata dalla Corte di appello, per la quale non poteva negarsi che la tendenza ad appiccare un incendio rappresenti una circostanza la cui conoscenza è decisiva per un’assicurazione da responsabilità civile.

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