Riconosciuto a una 50enne pontina l’indennizzo previsto dalla legge per aver contratto il virus HCV mediante una trasfusione di sangue infetto resasi necessaria dopo un incidente in motorino

Il Tribunale di Latina ha condannato il Ministero della Salute a versare una cifra pari a circa 220 mila euro, a titolo di arretrati, nonché un assegno mensile di 800 euro, come indennizzo previsto dalla legge  210/1992, a una 50enne pontina. Ben 35 anni fa la signora, all’epoca adolescente, aveva rischiato la vita in seguito a un grave incidente in motorino. Trasportata all’ospedale Santa Maria Goretti era stata salvata, ma nel corso della degenza le erano state somministrate delle trasfusioni di sangue.

Dodici anni dopo – nel 1997 – la ragazza, all’età di 27 anni, aveva scoperto di aver contratto il virus Hcv, cadendo in una profonda depressione. Come riferito dal suo legale, infatti, pensava di essersi lasciata alle spalle una lunga convalescenza per recuperare pienamente le funzioni vitali danneggiate dall’incidente. Invece, la notizia del contagio, apriva un nuovo dramma, ovvero quello della convivenza con un virus potenzialmente letale, contagioso e invalidante.

Già nel 1998 la donna aveva avanzato la richiesta di indennizzo, ai sensi della normativa. Ma la Commissione medica  incaricata di valutare la sua domanda non aveva ravvisato la sussistenza  del nesso causale fra le trasfusioni e il contagio.

A conclusione di un lungo iter giudiziario, invece, il Tribunale pontino ha ritenuto di accogliere il ricorso della vittima. Il giudice, sulla base della relazione peritale acquisita ha ritenuto accertato con “elevata probabilità scientifica l’esistenza del nesso causale tra le procedure di emotrasfusione nel corso del ricovero presso il nosocomio di Latina e l’infezione da Hcv diagnosticata a distanza di 26 anni da tali procedure anche in virtù delle caratteristiche intrinseche del virus”.

La consulenza ha evidenziato che l’epatopatia da Hcv, per la sua condizione di cronicità, ha comportato alla ricorrente danni irreversibili a livello epatico. Dalla stessa sarebbe derivata una menomazione permanente dell’integrità psico-fisica della periziata.

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