I nonni della vittima di un incidente stradale sono legittimati “iure proprio” a costituirsi parte civile per il risarcimento dei danni patrimoniali e morali, a prescindere dall’esistenza di un rapporto di convivenza con la stessa

La vicenda

Nel 2018 la Corte di appello di Roma confermava la sentenza di condanna a carico dell’imputato, dichiarato responsabile del delitto di omicidio stradale, di cui all’art. 589 c.p., condannandolo altresì, in solido con l’assicurazione, al risarcimento del danno in favore delle parti civili, da liquidarsi in separato giudizio.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il difensore della compagnia assicurativa, quale responsabile civile, lamentando:

1) in primo luogo il vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale confermato la condanna civile generica in favore delle parti civili –  rispettivamente nonno, zia e cugina della vittima -, ritenendo legittima la loro costituzione, “stante il legame di parentela con la giovane deceduta (…), fermo restando che la quantificazione del danno sarebbe avvenuta in sede civile”. A detta del ricorrete, sul punto, la Corte di merito non aveva considerato che il danno per la morte del prossimo congiunto costituisce un danno-conseguenza, che pertanto deve essere provato ed allegato dal danneggiato ex art. 2697 c.c., e non può essere presunto dal solo legame di parentela, come erroneamente affermato in sentenza.

2) Violazione di legge, per non avere la sentenza impugnata fatto corretta applicazione dell’art. 2697 c.c. che regola l’onere probatorio e che statuisce che chiunque voglia far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

La pronuncia della Cassazione

La Quarta Sezione Penale della Cassazione (sentenza n. 39734/2019) ha respinto il ricorso perché infondato.

Le doglianze difensive non tengono infatti, conto della copiosa giurisprudenza di legittimità che, in tema di risarcimento del danno, afferma che la parte civile può limitarsi ad indicare genericamente di avere subito un danno, ed il giudice penale può limitarsi alla condanna generica, come nel caso, rimettendo al giudice civile le questioni sull’esistenza di un danno risarcibile.

Infatti, in tema di esercizio dell’azione civile nel processo penale, la parte civile può limitarsi ad allegare genericamente di aver subito un danno dal reato, senza incorrere in alcuna nullità, in quanto il giudice ha sempre la possibilità di pronunciare condanna generica, là dove ritenga che le prove acquisite non consentano la liquidazione del danno con conseguenti effetti sull’onere di allegazione e prova spettante alla parte civile (Sez. 4, n. 6380 del 20/01/2017).

La condanna generica al risarcimento dei danni, pronunciata dal giudice penale, non esige alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, postulando soltanto l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e della esistenza di un nesso di causalità tra tale fatto e il pregiudizio lamentato (Sez. 5, n. 45118 del 23/04/2013).

Si è anche detto che il giudice penale, nel pronunziare condanna generica al risarcimento dei danni, non è tenuto a distinguere i danni materiali da quelli morali, nè deve espletare alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, potendo limitare il suo accertamento alla potenziale capacità lesiva del fatto dannoso ed alla esistenza di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato (Sez. 5, n. 191 del 19/10/2000).

È poi vero che il danno subito in conseguenza della uccisione del prossimo congiunto si colloca nell’area del danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c. e, quale tipico danno-conseguenza, deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento; è stato, però, opportunamente precisato che a tal fine è possibile ricorrere a valutazioni prognostiche e presunzioni sulla base degli elementi obiettivi forniti dal danneggiato, quali l’intensità del vincolo familiare, la situazione di convivenza, la consistenza del nucleo familiare, le abitudini di vita, l’età della vittima e dei singoli superstiti, nonché la compromissione delle esigenze di questi ultimi (Sez. 4, n. 21505 del 23/01/2009).

La decisione

Ebbene, nel caso in esame, la motivazione della sentenza impugnata, “in maniera del tutto congrua e logica”, aveva insindacabilmente riconosciuto il rapporto di parentela fra le parti civili costituite e la vittima, trattandosi rispettivamente del nonno, della zia e della cugina della povera vittima, di conseguenza, aveva accertato la potenziale capacità lesiva del fatto dannoso (morte del congiunto) e l’esistenza di un nesso di causalità tra tale fatto e il pregiudizio lamentato.

Detto in altri termini, la sentenza di merito, aveva correttamente ritenuto la potenziale configurabilità dell’an debeatur, rimettendo al giudice civile il compito di verificare l’effettiva esistenza di danni risarcibili, secondo il costante insegnamento giurisprudenziale dianzi richiamato.

Del resto, hanno concluso gli Ermellini – è pacifico l’orientamento della Suprema Corte che ritiene legittima la costituzione di parte civile nel processo penale di un soggetto non legato da rapporti di stretta parentela e non convivente con la vittima del reato (Sez. 4, n. 20231 del 03/04/2012); a maggior ragione si ritiene che i nonni della vittima di un incidente stradale siano legittimati “iure proprio” a costituirsi parte civile per il risarcimento dei danni patrimoniali e morali, a prescindere dall’esistenza di un rapporto di convivenza con la vittima medesima (Sez. 3, n. 29735 del 04/06/2013).

Avv. Sabrina Caporale

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