In materia di stupefacenti, il superamento dei limiti tabellari indicati dalla legge non determina alcuna presunzione di destinazione della droga ad un uso non personale; al contrario, il giudice deve operare una valutazione globale di tutti gli elementi di fatto

Il solo dato ponderale dello stupefacente rinvenuto – e l’eventuale superamento dei limiti tabellari indicati dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73-bis, comma 1, lett. a), – non determina alcuna presunzione di destinazione della droga ad un uso non personale, dovendo il giudice valutare globalmente, anche sulla base degli ulteriori parametri normativi, se, assieme al dato quantitativo (che acquista maggiore rilevanza indiziaria al crescere del numero delle dosi ricavabili), le modalità di presentazione e le altre circostanze dell’azione siano tali da escludere una finalità meramente personale della detenzione” (Sez. 3, n. 46610 del 09/10/2014)

Lo ha ribadito la Terza Sezione Penale della Cassazione con la sentenza n. 39323/2019 in commento.

L’imputato era stato condannato, all’esito di giudizio abbreviato, alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione ed Euro 4000 di multa per illecita detenzione di circa 70 grammi di marijuana.

La pronuncia della Corte d’appello

La corte d’appello di Napoli aveva confermato siffatta pronuncia, concedendo all’imputato la sospensione condizionale della pena subordinata alla prestazione di attività non retribuita in favore della collettività per un tempo pari alla pena inflitta.

A sostegno della propria decisione la corte di merito aveva posto elementi oggettivi, univoci e significativi, quali il quantitativo della droga, l’occultamento dello stupefacente, rinvenuto accanto ad un bilancino di precisione (strumentario che lo spacciatore tipicamente utilizza per il confezionamento delle dosi), le modalità di detenzione dello stesso, conservato in contenitori di 48,5, 15,3 e 3,15 grammi.

Oltre a ciò, aveva sottolineato l’illogicità dell’affermazione secondo cui la droga sarebbe stata acquistata – tra l’altro in due tranches – per formare una scorta “per sei mesi”, tenuto conto della precarietà lavorativa dell’interessato, nonché della sua ritrosia nel dare conto delle circostanze dell’acquisto dello stupefacente stesso.

I giudici della Suprema Corte hanno confermato siffatta valutazione, ribadendo il principio di diritto secondo il quale “la valutazione in ordine alla destinazione della droga, ogni qualvolta la condotta non appaia indicativa della immediatezza del consumo, deve essere effettuata dal giudice di merito tenendo conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive del fatto, secondo parametri di apprezzamento sindacabili in sede di legittimità soltanto sotto il profilo della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione (da ult., Sez. 4, n. 7191 del 11/01/2018).

Nessun rilievo particolarmente favorevole per l’imputato era stato attribuito al fatto che egli avesse consegnato lo stupefacente alle Forze di polizia.

Ebbene al riguardo, la giurisprudenza ha già chiarito che “la valutazione dell’offensività della condotta non può anzitutto essere ancorata al comportamento collaborativo del reo post delictum, ma deve essere correlata alla concreta offensività della condotta desunta dai canoni espressamente indicati dalla norma, cioè, la qualità e quantità della sostanza stupefacente e le modalità e circostanze dell’azione, elementi da valutarsi unitariamente, salva la netta preponderanza di uno di essi ai fini del giudizio” (Sez. 6, n. 3616 del 15/11/2018).

Il giudizio sulla lieve entità del fatto

Come premesso, i giudici di merito non avevano attribuito credito all’acquisto di marijuana per affermata scorta personale semestrale, osservando che la detenzione di non irrilevante quantitativo di stupefacente, senza sostanziale giustificazione riconosciuta, si accompagnava al possesso di bilancino di precisione ed alla mancata iscrizione al Sert.

Ebbene, la Cassazione ha chiarito che “in materia di sostanze stupefacenti, la reiterazione nel tempo ad es. di una pluralità di condotte di cessione della droga, pur non precludendo automaticamente al giudice di ravvisare il fatto di lieve entità, entra in considerazione nella valutazione di tutti i parametri dettati, in proposito, dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5; ne consegue che è legittimo il mancato riconoscimento della lieve entità qualora la singola cessione di una quantità modica, o non accertata, di droga costituisca manifestazione effettiva di una più ampia e comprovata capacità dell’autore di diffondere in modo non episodico, nè occasionale, sostanza stupefacente, non potendo la valutazione della offensività della condotta essere ancorata al solo dato statico della quantità volta per volta ceduta, ma dovendo essere frutto di un giudizio più ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva (Sez. 3, n. 6871 del 08/07/2016), integrando potenzialità offensiva e diffusibilità della condotta”.

La redazione giuridica

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