Nessun aumento di pena al conducente dell’autocarro per aver cagionato la morte di un passante: non può essere applicata l’aggravante della colpa con previsione in caso di evento imprevedibile

La Corte d’Appello di Roma aveva ritenuto responsabile del reato di cui agli artt. 61, n. 3) e 589 comma 2 c.p., perché in qualità di socio ed amministratore di fatto e collaboratore della società, nonché in qualità di conducente dell’autocarro dotato di cassone ribaltabile non provvisto di sponde, trasportando sul medesimo una forza metallica per il braccio meccanico di una gru senza idoneo ancoraggio, investiva una donna cagionandone la morte. Quest’ultima, al momento dell’incidente, si trovava alla guida della propria autovettura, proveniente dall’opposta corsia di marcia, allorquando veniva travolta dal carico dell’autocarro, che fuoriuscendo dalla sezione di sinistra del mezzo si proiettava contro l’auto, colpendola violentemente e penetrando nell’abitacolo, così cagionando lo sfacelo fratturativo del cranio e l’immediato decesso della vittima.  

Tra gli altri motivi di ricorso la difesa aveva denunciato l’erronea applicazione dell’aggravante della colpa con previsione di cui all’art. 61 n.3) c.p., nonostante l’evento imprevedibile da parte dell’imputato – che procedeva a bassissima velocità ed aveva allacciato la forca della gru alle funi fissate sul pianale dell’autocarro – né tantomeno era, in alcun modo, altamente probabile. Inoltre, ad avviso del ricorrente la sentenza era del tutto carente di motivazione e contraria alla giurisprudenza di legittimità.

La censura è stata accolta (Corte di Cassazione, Quarta Sezione Penale, sentenza n. 12351/2020).

La lettura della sentenza impugnata non consentiva di comprendere da quali elementi fosse stata tratta la coscienza, in capo all’agente, dell’astratta possibilità della realizzazione del fatto costituente reato, e della sicura fiducia che esso non si sarebbe verificato.

Il Supremo Collegio, a tal proposito, ha ricordato che “in tema di elemento soggettivo del reato, ricorre la colpa cosciente quando la volontà dell’agente non è diretta verso l’evento ed egli, pur avendo concretamente presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l’evento illecito, si astiene all’agire doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo”.

Non è dunque sufficiente la mera prevedibilità dell’evento, che costituisce requisito generale della colpa, ma occorre la prova della sua effettiva previsione, accompagnata dal convincimento che l’evento, in considerazione di tutte le circostanze del caso concreto, non accadrà (Sezione Quarta, n. 24612/2014).

La giurisprudenza ha, inoltre, chiarito che l’atteggiamento psicologico della colpa cosciente “si traduce nel passaggio da una rappresentazione generica in ordine alla idoneità di un comportamento, come quello tenuto dall’agente, a sfociare in astratto in un reato, ad una previsione concreta, che, per particolari circostanze, quel fatto non si verificherà. Nel quadro di tale impostazione, pertanto, la colpa cosciente è connotata da una previsione astratta che si evolve nel superamento del dubbio e si risolve in una previsione astratta negativa in merito al verificarsi dell’evento, in quanto nella colpa cosciente il verificarsi dell’evento rimane un’ipotesi teorica, che, nella coscienza del soggetto, non viene percepita come suscettibile di effettiva concretizzazione” (Sezione Quarta, n. 48081/2017; Sezione Prima, n. 3-6-1993).

Sicché “ai fini della valutazione della responsabilità, il giudice è tenuto ad indicare analiticamente gli elementi sintomatici da cui sia desumibile non la prevedibilità in astratto dell’evento, bensì la sua previsione in concreto da parte dell’imputato” (Sezione Quarta, n. 32221/2018).

Ebbene, nel caso in esame, mancava siffatto doveroso approfondimento della sussistenza degli indici della coscienza della previsione concreta del fatto, seppure ritenuto insuscettibile di effettiva realizzazione.

La Corte territoriale aveva, infatti, desunto la colpa cosciente dalla mera pluralità di violazioni e dalla conduzione del mezzo, privo di sponde di contenimento, ma non aveva chiarito come dalla gravità e pluralità delle violazioni avrebbe potuto ricavarsi la previsione in concreto dell’incidente, dovendo quantomeno individuarsi quell’elemento distintivo tra la mera violazione della regola di condotta e la coscienza della possibile realizzazione del fatto temuto.

Per queste ragioni, la sentenza impugnata è stata annullata con rinvio alla corte d’Appello di Roma per un nuovo giudizio in relazione all’aggravante di cui all’art. 61, n. 3 c.p.

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