Integra il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, la condotta del datore di lavoro che, esponendo falsamente di aver corrisposto al lavoratore somme a titolo di indennità per malattia, assegni familiari e cassa integrazione guadagni, ottiene dall’INPS il conguaglio di tali somme, in realtà non corrisposte

La vicenda

La Corte di appello di Milano aveva condannato l’imputato alla pena ritenuta di giustizia in relazione al reato di cui all’art. 316-ter c.p., perché in qualità di legale rappresentante di una società, esponendo falsamente di aver corrisposto ad una propria dipendente, l’indennità di maternità ed ottenendo dall’INPS il conguaglio degli importi fittiziamente indicati con quelli da lui dovuti al medesimo istituto, conseguiva un’indebita percezione di erogazioni pubbliche pari ad Euro 19.352,00.

Contro tale sentenza la difesa ha proposto ricorso per cassazione, lamentando la violazione della legge penale, in relazione alla affermazione di responsabilità che doveva essere esclusa in quanto i nove modelli DM10 mensilmente presentati erano ciascuno di importo inferiore alla soglia di punibilità di Euro 3.999,96 prevista dall’art. 316 ter c.p., versandosi in una pluralità di condotte avvinte dalla continuazione.

La Corte di merito, invece, assumendo l’esistenza di un unico comportamento fraudolento dal quale sarebbero conseguite in automatico le nove indebite compensazioni, aveva omesso di individuare il fatto nella sua concretezza.  

Ebbene, la Corte di Cassazione ha accolto il motivo perché fondato (Sesta Sezione Penale, sentenza n. 7462/2020).

Il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato

È principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui “integra il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato ex art. 316-ter c.p., e non quelli di truffa o di appropriazione indebita o di indebita compensazione D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ex art. 10-quater, la condotta del datore di lavoro che, esponendo falsamente di aver corrisposto al lavoratore somme a titolo di indennità per malattia, assegni familiari e cassa integrazione guadagni, ottiene dall’I.N.P.S. il conguaglio di tali somme, in realtà non corrisposte, con quelle da lui dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, così percependo indebitamente dallo stesso istituto le corrispondenti erogazioni” (Sez. 2, n. 15989 del 16/03/2016).

Con detta decisione la Cassazione ha chiarito che “Il reato si consuma nel momento in cui il datore di lavoro provvede a versare all’I.N.P.S. (sulla base dei dati indicati sui modelli DM10) i contributi ridotti per effetto del conguaglio cui non aveva diritto, venendo così – tramite il mancato pagamento di quanto altrimenti dovuto – a percepire indebitamente l’erogazione dell’ente pubblico…..Tuttavia non sfugge che trattandosi di contestazione per reato continuato ex art. 81 cpv. c.p. legato al fatto che, quantomeno all’epoca delle condotte in contestazione, i c.d. “Mod. DM10″ erano caratterizzati da prospetti mensili con i quali il datore di lavoro ebbe a denunciare all’I.N.P.S. le retribuzioni ai dipendenti, ai fini della corretta valutazione dell’eventuale superamento della soglia indicata dall’art. 316 ter c.p., comma 2 oltre la quale la condotta diventa penalmente rilevante, non si potrà che tenere conto anche di tale profilo”.

La pronuncia della Cassazione

I giudici della Sesta Sezione Penale hanno pertanto osservato che con il modello DM 10 il datore di lavoro prospetta mensilmente all’Inps le retribuzioni pagate, i contributi dovuti e il conguaglio con prestazioni anticipate al lavoratore. Pertanto, facendo figurare una falsa anticipazione, il datore di lavoro omette di versare i contributi, prelevati al lavoratore in busta paga (versamento che va effettuato con F24 nel il termine del giorno 16 del mese successivo a quello dei contributi). Secondo le istruzioni INPS (circolare n. 15 del 2006), “la compensazione degli importi a credito può essere effettuata con il modello F24, anche utilizzando più modelli, comunque entro 12 mesi dalla scadenza del termine di presentazione del DM10/2”. Decorso il termine di dodici mesi, comunque nel caso in cui il datore di lavoro per motivi diversi non può portare a compensazione il credito (es. incapienza nel limite compensabile con modello F24 ecc.), dovrà essere presentata all’INPS la domanda di rimborso, o di compensazione ordinaria con altri contributi a debito del datore di lavoro”.

Quindi è possibile sostenere che le false attestazioni nei modelli potrebbero far conseguire al datore di lavoro un indebito credito compensabile nell’anno solare.

Facendo applicazione di tali principi di diritto al caso in esame il Supremo Collegio ha disposto l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio a diversa sezione della Corte di appello di Milano affinché verifichi- per l’accertamento del superamento della soglia di punibilità prevista dall’art. 316-ter c.p. – le concrete modalità attraverso le quali l’imputato avrebbe (in ipotesi) recuperato le somme falsamente dichiarate anticipate.

La redazione giuridica

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