L’indennità di mobilità, di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 7, costituisce un trattamento di disoccupazione che ha la sua fonte nella legge, ma non sorge nel lavoratore in via automatica, presupponendo la presentazione di una domanda all’INPS entro un certo termine

La vicenda

Nel luglio del 2013, la Corte di Appello di Lecce, in riforma della decisione del Tribunale della stessa sede, aveva dichiarato il diritto del ricorrente alla indennità di mobilità richiesta e, perciò, aveva condannato l’INPS al pagamento della medesima oltre agli accessori.
Ad avviso della Corte territoriale: la domanda all’ente assicuratore per la concessione dell’indennità di mobilità prevista dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 7, a favore dei dipendenti da imprese ammesse al trattamento straordinario di integrazione salariale o da imprese che cessino l’attività o riducano il personale per riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, doveva essere proposta entro il termine di decadenza di 68 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro; l’onere della prova in ordine alla data di comunicazione del licenziamento – nel caso in esame diversa ed anteriore a quella della comunicazione del collocamento in mobilità – gravava sull’istituto che aveva eccepito la predetta decadenza non essendo esigibile il rispetto di un termine decadenziale da parte dell’assicurato se non a decorrere dalla data di conoscenza da parte sua dell’evento individuato dalla legge come dies a quo del decorso del detto termine e non essendo, peraltro, neppure comprensibile come il lavoratore potesse fornire la prova di un fatto negativo (il non aver ricevuto prima dei sessantotto giorni la lettera di comunicazione del licenziamento).

Il ricorso per Cassazione

Per la Cassazione di tale decisione ricorreva l’INPS denunciando la violazione di legge per aver fatto
decorrere il termine di decadenza di 68 giorni dalla comunicazione del licenziamento e non dalla data di cessazione del rapporto di lavoro.
Al riguardo evidenziava che il decorso di un termine di decadenza deve essere ancorato ad un dato oggettivo e non ad uno stato soggettivo del lavoratore o ad un comportamento del datore di lavoro violandosi, altrimenti, il disposto dell’art. 2968 c.c., trattandosi di decadenza prevista dalla legge in una materia, quale quella previdenziale, sottratta alla disponibilità delle parti.
Con il secondo motivo lamentava l’errore compiuto dalla corte territoriale posto che, contrariamente a quanto affermato nell’impugnata sentenza, a fronte della eccezione di decadenza per tardività della domanda sollevata dall’INPS, gravava sull’assicurato dimostrare di averla tempestivamente proposta, quindi, nel caso in esame, provare il fatto negativo costituito dalla addotta omessa comunicazione della risoluzione del rapporto da parte del datore di lavoro.

L’indennità di mobilità

Il R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 73, comma 2, convertito con modificazioni nella L. n. 1155 del 1936, prevede che “L’indennità di disoccupazione è corrisposta a decorrere dall’ottavo giorno successivo a quello della cessazione dal lavoro”; il successivo art. 77, comma 1, dispone che “Per conseguire il diritto all’indennità di disoccupazione, il disoccupato deve farne domanda nei modi e termini stabiliti dal regolamento”; l’art. 129, comma 5, prevede che “Cessa il diritto nell’assicurato di essere ammesso al godimento dell’indennità di disoccupazione (…) qualora siano decorsi sessanta giorni da quello d’inizio della disoccupazione indennizzabile (…) senza che l’assicurato medesimo abbia avanzata domanda di ammissione al pagamento dell’indennità”.
Al riguardo la Corte di Cassazione ha già chiarito che “L’indennità di mobilità, di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 7, costituisce un trattamento di disoccupazione che ha la sua fonte nella legge, ma non sorge nel lavoratore in via automatica, presupponendo, come tutti i trattamenti previdenziali, la presentazione di una domanda all’INPS – che non potrebbe altrimenti attivarsi non conoscendo le relative condizioni – entro i termini di decadenza stabiliti dalla normativa in materia di disoccupazione involontaria, applicabile per l’indennità di mobilità in virtù dello specifico richiamo operato del citato art. 7, comma 12 (sì che tale normativa deve considerarsi inserita a tutti gli effetti formali e sostanziali nella nuova norma istitutiva dell’indennità di mobilità), così com’è dimostrato, d’altra parte, dalla disposizione di cui alla L. 23 maggio 1997, n. 135, art. 20-ter, che ha introdotto una sanatoria per le domande di concessione dell’indennità presentate anteriormente al 31 marzo 1992, per le quali si fosse già avverata la “decadenza” dal relativo diritto” (Cass. SU n. 17389 del 6 dicembre 2002). Il termine di decadenza applicabile, quindi, è quello, previsto dal cit. R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 129, per l’indennità di disoccupazione, di sessanta giorni dall’inizio della disoccupazione indennizzabile, e cioè dall’ottavo giorno successivo a quello della cessazione del rapporto di lavoro.
Ne consegue che, anche per la domanda di indennità di disoccupazione, il termine di decadenza non può che decorrere dalla cessazione del rapporto di lavoro.
Al riguardo, è stato finanche, precisato che detta decadenza ha carattere generale perché soddisfa l’esigenza di assicurare all’INPS la possibilità di effettuare tempestivi controlli in ordine alla effettiva sussistenza dello stato di disoccupazione di tutti i lavoratori in genere (in tal senso, v. Cass., 19 dicembre 1985, n. 6503).

La decisione

Orbene, nel caso in esame, la Corte territoriale aveva correttamente osservato che solo con missiva dell’8 agosto 2008 del Centro per l’impiego, il lavoratore – già collocato in cassa integrazione a zero ore – veniva a conoscenza del suo inserimento nelle liste di mobilità (dunque, l’avvenuta cessazione del rapporto di lavoro) ragion per cui la domanda di mobilità presentata nello stesso giorno era tempestiva mancando la prova di una precedente comunicazione del suo licenziamento, ovvero di un diverso e più risalente dies a quo cui ancorare la decorrenza del termine decadenziale e la prova d’una diversa e anteriore data di comunicazione del licenziamento – che, come è noto, è atto recettizio – non può che gravare ex art. 2697 c.p.c., comma 2, su chi eccepisce la decadenza, vale a sull’INPS, mentre la mera negazione, da parte dell’odierno controricorrente, del fatto costitutivo dell’avversa eccezione costituisce non già una controeccezione, bensì una mera difesa (in quanto tale di per sé inidonea a modificare l’ordinaria ripartizione dell’onere probatorio).
Per tali motivi il ricorso è stato rigettato.

La redazione giuridica

 
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