Indennità di trasferta del lavoratore, sono dovuti i contributi?

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indennità di trasferta

Non sempre sono dovuti i contributi in relazione alle somme corrisposte a titolo di indennità di trasferta (Corte di Cassazione, IV – Lavoro civile, ordinanza 5 giugno 2025, n. 15056).

I fatti

La società datrice di lavoro ricorre contro l’INPS e impugna la decisione della Corte di appello di Firenze. La suddetta pronunzia ha dichiarato non dovuti i contributi in relazione alle somme corrisposte ad un dipendente a titolo di indennità di trasferta e ha, invece, confermato la decisione di primo grado quanto al diritto dell’INPS a pretendere somme per insussistenza del diritto agli sgravi ex art. 8, comma 4-bis, della Legge n. 223 del 1991.

La Corte toscana ha ritenuto che il dipendente, in relazione al quale l’INPS configurava l’obbligazione contributiva, non poteva essere qualificato come trasfertista, ai sensi dell’art. 51, co.6, D.P.R. n. 917 del 1986, difettando i requisiti di legge.

La diversa pretesa contributiva andava, invece, confermata, perché le società che avevano proceduto ai licenziamenti e quella che aveva, poi, riassunto i lavoratori presentavano assetti proprietari coincidenti.

L’intervento della Corte di Cassazione

La società datoriale deduce violazione dell’art. 8 della Legge n. 223 del 1991, nonché degli artt. 2359 e 2697 c.c.

Ebbene, in base alla giurisprudenza di legittimità, da cui la presente decisione a commento non si discosta, la condizione dell’assetto proprietario coincidente è nozione più ampia di quella definita dall’art. 2359 c.c. Si è, infatti, chiarito che mediante il richiamo al “rapporto di collegamento o controllo”, la legge non intende riferirsi soltanto ai rapporti tipizzati dall’art. 2359 c.c. (Cass. n. 2528 del 2025; Cass. n. 20504 del 2018).

La condizione ostativa individuata dalla norma può essere il risultato di un accertamento di merito che esclude la novità del contesto aziendale da una serie di indici, tra questi anche le relazioni familiari (e perfino di amicizia) tra i soci delle due entità se finalizzate all’ideazione di operazioni coordinate di ristrutturazione comportanti il licenziamento da parte di un’impresa e l’assunzione di lavoratori da parte dell’altra.

Questo significa che la valutazione che il Giudice deve svolgere non investe “solo il dato formale del rispetto degli indicatori normativi ma sempre anche quello sostanziale, collegato alla singola vicenda, onde verificare se la stessa abbia avuto la finalità di eludere la ratio della disciplina incentivante, attraverso assunzioni e licenziamenti il cui effetto finale resti privo di incidenza positiva, e dunque, di novità, sul piano occupazionale” (Cass. n. 8786 del 2024, punto 15).

Il beneficio in parola non può essere riconosciuto quando i licenziamenti e le assunzioni vanno ascritti a un unico centro decisionale (Cass., n. 9662 del 2019), con un comune centro d’interessi, in grado di elaborare e gestire l’operazione in tutte le fasi in cui si articola.

Proprio a tali linee si è uniformata la Corte di Firenze che ha ricostruito i rapporti di stretta familiarità tra i soci; ha valorizzato la circostanza che la socia di assoluta maggioranza di una delle società coinvolte nell’operazione fosse appena diciottenne e, altresì, evidenziato come tutte le società avessero la medesima sede e svolgessero la medesima attività. Da tali elementi, unitariamente considerati, hanno tratto il convincimento ragionevole di un’operazione preordinata all’elusione del dettato normativo.

Venendo al ricorso incidentale dell’INPS denunciante la mancanza di requisiti del cd. trasfertismo di cui all’art. 51, comma 6, D.P.R. n. 917/86, la Corte di appello avrebbe dovuto ulteriormente accertare le modalità concrete della prestazione lavorativa, ai sensi del comma 5 del medesimo art. 51, considerato che non ogni somma erogata a titolo di trasferta è esente in toto da contribuzione.

Tale argomentazione è fondata.

L’art. 51, comma 5, D.P.R. n. 917 del 1986 dispone che: “Le indennità percepite per le trasferte o le missioni fuori del territorio comunale concorrono a formare il reddito per la parte eccedente Lire 90.000 al giorno, elevate a Lire 150.000 per le trasferte all’estero, al netto delle spese di viaggio e di trasporto; in caso di rimborso delle spese di alloggio, ovvero di quelle di vitto, o di alloggio o vitto fornito gratuitamente il limite è ridotto di un terzo.
Il limite è ridotto di due terzi in caso di rimborso sia delle spese di alloggio che di quelle di vitto. In caso di rimborso analitico delle spese per trasferte o missioni fuori del territorio comunale non concorrono a formare il reddito i rimborsi di spese documentate relative al vitto, all’alloggio, al viaggio e al trasporto, nonché i rimborsi di altre spese, anche non documentabili, eventualmente sostenute dal dipendente, sempre in occasione di dette trasferte o missioni, fino all’importo massimo giornaliero di Lire 30.000, elevate a Lire 50.000 per le trasferte all’estero. Le indennità o i rimborsi di spese per le trasferte nell’ambito del territorio comunale, tranne i rimborsi di spese di trasporto comprovate da documenti provenienti dal vettore, concorrono a formare il reddito”.

Le somme erogate a titolo di indennità di trasferta

Le somme erogate a titolo di indennità di trasferta non sono sempre esenti da contribuzione perché concorrono a formare reddito. In particolare:

  • “a) se si tratta di trasferta nell’ambito del territorio comunale, esse concorrono a formare reddito, tranne per quanto attiene alle spese di trasporto comprovate;
  • b) le trasferte al di fuori del comune concorrono a formare il reddito sopra le 90.000 Lire o le 150.000 Lire giornaliere a seconda che siano trasferte entro il territorio italiano o all’estero;
  • c) se si tratta di rimborso analitico di spese vive (vitto, alloggio, etc.), i rimborsi concorrono comunque a formare il reddito oltre le 30.000 Lire o 50.000 Lire giornaliere, a seconda che siano trasferte entro il territorio nazionale o all’estero» (Cass. nr. 1500 del 2025 cit. Cass. nn. 8110 e 8112 del 2023).”

I Giudici di secondo grado non hanno compiuto alcun accertamento né sull’ammontare delle indennità di trasferta erogate (se superiori o meno ai limiti previsti dalla norma), né sulle modalità delle stesse (se entro il territorio comunale, al di fuori di esso, o all’estero). Così facendo, hanno violato l’art. 51, comma 5, D.P.R. n. 917 del 1986, di fatto escludendo l’obbligo contributivo sempre, e quindi al di là dei limiti fissati dalla norma.

La pronunzia del 2025 sopra richiamata ha precisato che l’accertamento imposto al Giudice di merito deve essere condotto nei limiti delle allegazioni e delle prove offerte dalla parte datoriale, vertendosi in tema di eccezione alla regola di assoggettamento all’obbligo previdenziale di qualsiasi somma percepita a titolo retributivo: all’INPS spetta solo dimostrare che il lavoratore abbia ricevuto dal datore di lavoro somme a qualunque titolo, purché in dipendenza del rapporto di lavoro, mentre è onere del datore di lavoro provare che ricorra una delle cause di esonero contributivo (Cass. n. 1500 del 2025 cit.).

Conclusivamente viene accolto il ricorso incidentale dell’INPS e rigettato quello principale del datore di lavoro.

Avv. Emanuela Foligno

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