Responsabilità medica, non è mutamento della domanda se emergono nuovi profili di colpa

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Altra decisione della Cassazione, quella qui a commento, che si occupa dell’inammissibile mutamento della domanda nei casi di responsabilità medica. Liquidati oltre 2 milioni di euro per i danni patiti (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 10 giugno 2025, n. 15438).

I fatti

I genitori del bambino citano a giudizio l’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II, tre medici e il Centro medicina della riproduzione per dei danni patiti e conseguenti alla nascita del loro figlio, affetto da asfissia perinatale da rottura dell’utero materno e con gravissime conseguenze neurologiche.

Sostengono:

  • a) di essere stati indotti ad affrontare la gravidanza con inconsapevolezza del rischio, poi verificatosi, di rottura dell’utero per omessa informazione circa la necessità di astenersi cautelativamente da una eventuale gravidanza almeno nei periodi immediatamente successivi all’intervento di miomectomia, dato il rischio, ad esso connaturale, di rottura dell’utero.
  • b) di essere stati limitati in concorso con il Centro di medicina della riproduzione nella possibilità di accedere ad un eventuale aborto terapeutico.
  • c) dell’omesso monitoraggio della gravidanza.

Il Tribunale di Napoli condanna l’Azienda ospedaliera al pagamento della somma complessiva di 332.000 euro in favore sia dei genitori, sia del bambino, per danni iure proprio, e di 1.000.000 euro, quali titolari della responsabilità genitoriale sul minore.

Il primo Giudice ha ritenuto che la patologia da cui risultava affetto il bambino era causalmente connessa all’intervento chirurgico di miomectomia laparoscopica cui la madre si era sottoposta presso il Policlinico di Napoli, e la imputava alla riparazione non corretta della ferita chirurgica post miomectomia. Escluso ogni profilo di responsabilità in capo ai medici del Centro di medicina della riproduzione e del dottor C.L., al quale dopo l’intervento di rimozione del mioma uterino, la coppia si era rivolta per le terapie farmacologiche e gli esami diagnostici inerenti alla cura della preesistente patologia di sterilità primaria.

Successivamente, la Corte di Napoli ha ridotto il quantum della condanna in favore dei genitori del bambino a complessivi 1.000.000 euro. L’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II ricorre per la cassazione, cui aderisce Amtrust assicurazioni, le altre parti resistono con controricorso.

L’intervento della Cassazione

Ricorso principale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II: la Corte di secondo grado avrebbe, nell’interpretare la domanda formulata dai coniugi inizialmente come responsabilità per omessa informazione, mentre la condanna era stata determinata dalla ritenuta inadeguata esecuzione dell’intervento chirurgico di miomectomia.

Sul punto i Giudici di secondo grado hanno rilevato – correttamente – che la domanda attorea riguardava anche la errata esecuzione dell’intervento chirurgico ed hanno osservato che il principio di mutatio libelli non è stato violato.

Continuità, pertanto, al principio secondo cui nel giudizio di risarcimento del danno derivato da colpa medica non costituisce inammissibile mutamento della domanda quando l’attore, dopo avere indicato nell’atto introduttivo che l’errore lamentato sia consistito nella errata esecuzione di un intervento chirurgico, e poi nel concludere alleghi che l’errore sia consistito nell’inadeguata assistenza postoperatoria.

Ciò che si deve considerare è sì il fatto costitutivo della domanda, ma nella sua essenzialità materiale, quindi le “specificazioni” della condotta contestate, inizialmente allegate dall’attore, possono mutare, considerata la normale mancanza di conoscenze scientifiche da parte del danneggiato (Cass. n. 13269/2012).

Onere della prova e mutamento della domanda

L’onere di prova che incombe sull’attore/danneggiato non si spinge fino alla necessità di enucleazione e indicazione di specifici e peculiari aspetti tecnici di responsabilità professionale, conosciuti e conoscibili soltanto agli esperti del settore, è sufficiente la contestazione dell’aspetto colposo dell’attività medica secondo quelle che si ritengono essere, in un dato momento storico, le cognizioni ordinarie di un non professionista che, espletando la professione di avvocato, conosca comunque (o debba conoscere) l’attuale stato dei profili di responsabilità del sanitario.

Sull’argomento la S.C. ha svariate volte chiarito che in tema di responsabilità sanitaria “la deduzione di profili di colpa diversi e ulteriori rispetto a quelli originariamente allegati, fondati eventualmente su circostanze emerse all’esito della consulenza tecnica d’ufficio, non integra domanda nuova, poiché non determina alcun mutamento della domanda e dell’ambito dell’indagine processuale, non potendo attribuirsi portata preclusiva, in tal senso, alle specificazioni della condotta inizialmente operate dall’attore”.

Tale ragionamento trova giustificazione nel fatto che l’onere processuale di allegazione, in relazione alle azioni di responsabilità per inadempimento delle obbligazioni professionali, non arriva fino alla necessità di enucleazione e indicazione di specifici e peculiari aspetti tecnici di responsabilità professionale: è sufficiente la contestazione dell’aspetto colposo dell’attività medica.

Il ricorso del Centro di medicina della riproduzione

Viene censurata la compensazione delle spese di lite del primo grado rispetto ai coniugi in violazione del principio della soccombenza. Osserva che il primo grado aveva condannato i coniugi al pagamento in suo favore di 36.145 euro, per spese di giudizio, stante il rigetto della domanda formulata nei suoi confronti, facendo dunque corretta applicazione delle norme in tema di soccombenza processuale. Invece, in secondo grado, pur confermata la assenza di responsabilità del detto Centro, sono state ritenute presenti le condizioni per compensare interamente le spese di entrambi i gradi del giudizio.

Questa censura non è fondata e la Cassazione sottolinea che la condanna alle spese processuali non trova il suo fondamento in un credito risarcitorio, ma nella volontà del legislatore di evitare che le spese sostenute dalla parte vittoriosa gravino su di essa. Per costante orientamento, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese.

Il principio di causalità

Nel concreto, la motivazione resa nel secondo grado sulla disposta compensazione è presente e non ha profili di illogicità, in quanto è stata disposta, tenendo conto del c.d. principio di causalità nell’insorgere della lite giudiziaria e dell’attività difensiva svolta nel processo per accertare la responsabilità esclusiva di una delle parti convenute: tenuto conto dei margini di incertezza da cui è indubbiamente connotata la fattispecie dedotta, in particolare sotto il profilo ricostruttivo e medico legale.

Del resto, come la stessa ricorrente incidentale riconosce, la Corte d’appello non è incorsa nel vizio di omessa pronuncia, avendo disposto la compensazione delle spese di lite, con ciò implicitamente rigettando la domanda. Non si può discutere di vizio di omessa pronuncia laddove la decisione comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione, da ritenersi ravvisabile quando la pretesa non espressamente esaminata risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia, nel senso che la domanda o l’eccezione, pur non espressamente trattate, siano superate e travolte dalla soluzione di altra questione, il cui esame presuppone, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza.

In conclusione, la Cassazione rigetta sia il ricorso principale, che quello incidentale.

Le osservazioni dell’avv. Foligno

Altra decisione della Cassazione, quella qui a commento, che si occupa dell’inammissibile mutamento della domanda nei casi di responsabilità medica. Di recente le pronunzie sull’argomento sono state numerose: Cass. 23/04/2024, n. 10901; Cass. 15/03/2024, n. 7074 che hanno seguito la scia di Cass. 20/03/2018, n. 6850; Cass. 26/07/2012, n. 13269.

Ebbene, quando viene domandato in giudizio il risarcimento del danno causalmente ascrivibile a precise condotte colpose asseritamente poste in essere dai sanitari (nella specie qui trattata, l’inadeguata informazione circa le cautele da adottare nella fase successiva all’esecuzione dell’intervento), non costituisce inammissibile mutamento della domanda la circostanza che l’attore ipotizzi poi nel corso del giudizio la verificazione di una ulteriore circostanza (l’eventuale non corretta esecuzione dell’intervento) causativa del danno lamentato.

In ogni modo, seguendo il principio generale codicistico, spetta al Giudice interpretare la domanda proposta, mediante l’analisi delle allegazioni e delle affermazioni della parte, senza essere vincolato dalle espressioni letterali utilizzate, ma indagando e considerando il contenuto sostanziale della stessa come ricavabile, ad esempio, dalle argomentazioni (in fatto e in diritto) contenute nell’atto introduttivo o negli atti defensionali successivi, dai mezzi istruttori offerti e dalle precisazioni compiute nel corso del giudizio.

Ad esempio, il Giudice può fare riferimento alla richiesta di CTU, alla specificazione già contenuta nell’atto di citazione e agli esiti peritali.

Del resto, che il Giudice debba (e possa) interpretare (e qualificare) la domanda proposta è circostanza già da tempo ampiamente utilizzata nella materia contrattuale, e/o nella interpretazione della relativa volontà delle parti, anche facendo ricorso al comportamento processuale delle stesse.

Avv. Emanuela Foligno

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