Danno da capacità lavorativa specifica nel caso di soggetto disoccupato

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Il danno da perdita della capacità lavorativa specifica può essere riconosciuto anche in favore del soggetto che, al momento dell’incidente, risulti disoccupato, purché non per libera scelta (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 10 giugno 2025, n. 15451).

Il caso

Il danneggiato si rivolge al Tribunale per il risarcimento dei danni conseguenti all’incidente stradale verificatosi in data 12/5/2007, allorquando il motoveicolo condotto dal convenuto era venuto a collisione con la bicicletta sulla quale viaggiava esso attore.

Il Tribunale di Cremona ritiene una paritaria corresponsabilità delle parti nella determinazione del sinistro, condanna il convenuto a corrispondere all’attore la complessiva somma di 367.653 euro, operando un incremento dei valori tabellari dell’invalidità permanente, anche in ragione dell’apprezzamento della ricorrenza di un cd. danno da lesione della cenestesi lavorativa.

La Corte d’appello di Brescia, con una prima sentenza non definitiva (n. 546/2021), conferma la statuizione di primo grado in punto di attribuzione della responsabilità dell’evento, rimettendo la causa sul ruolo per acquisire la documentazione necessaria a comprovare gli emolumenti previdenziali/assistenziali percepiti dalla vittima. Poi, con sentenza definitiva, rigettano la domanda inerente il danno da perdita della capacità lavorativa specifica, argomentando che “non fosse dato conoscere quale tipologia di rapporto avesse in corso l’infortunato con la datrice di lavoro all’epoca del sinistro e che, dovendosi in ogni caso defalcare, dal quantum risarcitorio eventualmente riconosciutogli, le somme percepite a titolo di pensione di invalidità, non v’era prova “che, dopo il sinistro, la vittima avrebbe potuto percepire redditi netti pari ad almeno il doppio di quanto erogato dall’INPS”.

Le due sentenze vengono impugnate in Cassazione dalla vittima.

L’intervento della Corte di Cassazione

Lamenta il mancato riconoscimento dello svolgimento di un’attività lavorativa al momento del sinistro, in contrasto con le risultanze documentali e con l’affermazione contenuta nella stessa sentenza, nella quale si dava atto che l’attore aveva allegato “di essere dipendente della ditta FM. s.r.l. percependo uno stipendio mensile di 1.300 euro. lamenta anche il mancato riconoscimento della correlazione causale tra l’invalidità permanente riportata in conseguenza dell’incidente e la lamentata perdita della capacità lavorativa, emergendo la suddetta correlazione dalla CTU medicolegale svolta in primo grado.

Le censure sono fondate e vengono accolte. I postumi permanenti derivanti dalla lesione della salute possono determinare una diminuzione della capacità di produrre reddito della vittima, che può rapportarsi al reddito derivante da: – una specifica occupazione (già svolta dal danneggiato al momento del fatto illecito, oppure da svolgersi verosimilmente in futuro) -ovvero a generiche opportunità lavorative compatibili con le attitudini e le competenze del soggetto.

Nel primo caso si parla di “danno da perdita della capacità lavorativa specifica”, per la cui risarcibilità è richiesta la prova del nesso causale tra le lesioni e l’impossibilità di svolgere il lavoro precedentemente svolto, da un lato, e tra quest’ultima e l’effettiva contrazione del reddito della vittima, dall’altro. Una volta dimostrata la sussistenza di un danno patrimoniale, la sua liquidazione avviene attraverso la capitalizzazione del reddito annuale perduto (o che, con consistente probabilità, si sarebbe conseguito in futuro). Per la quantificazione del risarcimento, è necessario tener conto di tutti gli accessori ed i probabili incrementi della retribuzione (Cass., n. 1607/2024; Cass., n. 19355/2023), al netto delle ritenute e degli emolumenti straordinari (Cass., n. 26654/2023).

Il danno da perdita della capacità specifica

Il danno da capacità lavorativa specifica è risarcibile anche a colui che, al momento del sinistro, non svolgeva alcuna attività lavorativa (perché disoccupato – purché non volontariamente – o minore), con la peculiarità che, in tal caso, la liquidazione dovrà prendere, quale base reddituale di riferimento, “quella corrispondente all’attività lavorativa che il danneggiato, se non fosse intervenuto l’evento dannoso, avrebbe presumibilmente esercitato in futuro, tenuto conto della sua posizione economica e sociale e di quella della sua famiglia, delle correlative possibilità di scelta secondo l’id quod plerumque accidit, del tipo di studi intrapresi e degli esiti raggiunti” (Cass., n. 5787/2024) e, quanto al disoccupato, sempre che “sussista ragionevole certezza o positiva dimostrazione che lo stesso danneggiato, se rimasto sano, avrebbe intrapreso un nuovo rapporto di lavoro avente ad oggetto la medesima attività o altra confacente al proprio profilo professionale.

Precedenti pronunzie di Cassazione hanno affermato che, a fronte di una percentuale di invalidità permanente superiore al 30%, si può presumere un danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa in un soggetto non ancora in età lavorativa, mentre, al di sotto di tale percentuale, il danno configurabile sarebbe – al più – quello da lesione della cenestesi lavorativa, ascrivibile al danno biologico. (Cass., n. 35663/2023 e Cass. 16844/2023).

Liquidazione equitativa e criterio del triplo della pensione sociale

L’impossibilità di far riferimento a un reddito precedentemente goduto, o che presumibilmente si sarebbe goduto in futuro, comporta la necessità di procedere alla liquidazione equitativa, attraverso il criterio del triplo della pensione sociale, espressamente contemplato dal CdA.

Tornando al caso di specie, la sentenza n. 538/2021 della Corte d’appello di Brescia ha riconosciuto al danneggiato (trentunenne all’epoca dei fatti) un’invalidità permanente del 60%, la cui traduzione in valori monetari venne incrementata del 10%, “essendo stata dimostrata una maggiore difficoltà nell’esercizio dell’attività lavorativa che doveva essere apprezzata dal Giudice, non sotto il profilo del danno patrimoniale, bensì sotto quello del danno biologico”.

Nella sentenza definitiva è stata rigettata la domanda di risarcimento del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa specifica, sulla base degli assunti per cui la vittima non aveva mai svolto regolare attività lavorativa. Aveva allegato di essere alle dipendenze della ditta FM., senza però specificare con quale tipologia di rapporto di lavoro (a tempo determinato o indeterminato). Non aveva dimostrato che, dopo il sinistro, avrebbe potuto percepire “redditi netti pari ad almeno il doppio di quanto erogato dall’INPS”.

Il criterio di liquidazione

Anche se così fosse, andava utilizzato, quale criterio di liquidazione, il reddito corrispondente ad altra occupazione confacente al grado di istruzione e alle attitudini del soggetto, ed anzi la circostanza corrobora la conclusione che la vittima avesse comunque (nonostante il basso grado di istruzione) una possibilità di collocamento nel mercato del lavoro. Tutto ciò, ferma restando la residuale possibilità di accedere al criterio del triplo della pensione sociale, ove la sporadicità degli impieghi pregressi non consentisse, in proiezione futura, di individuare un’occupazione determinata, cui parametrare la contrazione del reddito.

La sentenza impugnata viene cassata, e il Giudice del rinvio dovrà procedere all’accertamento e alla liquidazione del danno da perdita della capacità lavorativa specifica patito dalla vittima in conseguenza del sinistro, sulla base dei principi sopra esposti.

Avv. Emanuela Foligno

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