Errore dell’infermiera che provoca la perforazione del retto durante un cateterismo. Esclusa la infermiera dal novero degli assicurati in forza della polizza stipulata dalla Struttura sanitaria (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 7 giugno 2025, n. 15245).
La dinamica dei fatti e l’errore dell’infermiera
Il paziente cita a giudizio l’Infermiera, l’Istituto di Riabilitazione e l’Azienda Sanitaria Unica Regionale A.S.U.R. Marche affermando di essere affetto da tetraplegia e ricoverato in lungodegenza presso l’Istituto di Riabilitazione e che, in data 28 agosto 2007, mentre era sottoposto ad un cateterismo, l’infermiera W.J., dipendente somministrata di agenzia di lavoro, a causa di una manovra inadeguata aveva provocato una perforazione del retto. A seguito di ciò, era stato sottoposto presso l’Ospedale di Recanati ad un intervento di resezione segmentaria e confezionamento di colostomia iliaca, peraltro riportando, durante l’intervento, una lesione dell’uretere.
Il Tribunale di Macerata condanna i tre convenuti al pagamento in solido della somma complessiva di 216.169,10 euro. In accoglimento della domanda di regresso avanzata dall’Istituto di Riabilitazione, condanna l’Infermiera e la sua Agenzia interinale, in solido tra loro, a rifondere all’Istituto la somma complessiva dallo stesso pagata al paziente; rigetta la domanda di regresso esperita dalla Infermiera nei confronti dell’Agenzia interinale. Rigetta la domanda di manleva esperita da quest’ultima nei confronti di Carige Assicurazioni SPA.
Quest’ultima propone appello che viene integralmente rigettato.
La copertura assicurativa stipulata dall’infermiera
I Giudici di appello rilevano: “… la copertura assicurativa stipulata dalla infermiera con Amissima assicurazioni prevede che se l’assicurata beneficia di altra polizza assicurativa, la prima opera come secondo rischio, solo per la parte di danno da rimborsare che eccede il massimale dell’altra polizza …” la soluzione interpretativa adottata dal Tribunale è corretta, fondandosi sul tenore letterale (inequivoco) del contratto assicurativo con Aurora stipulato dalla Struttura.
Nel contratto assicurativo della Struttura è prevista la copertura per la responsabilità di persone sottoposte a qualsiasi attività (… ) esercitata dagli assicurati, riferendosi ai cinque soggetti giuridici facenti parte della Struttura medesima, espressamente individuati come assicurati. Riguardo la responsabilità civile verso terzi di persone non dipendenti, stabilisce che fatto salvo il caso di dolo, la Società dichiara di rinunciare, nei confronti dei predetti soggetti all’azione di surroga prevista dall’art. 1916 c.c. Questi soggetti non possono essere che i terzi responsabili del danno e come tali non assicurati, posto che se lo fossero dalla stessa non avrebbe senso rinunciare a rivalsa.
Quindi, correttamente il primo Giudice ha ritenuto che con la polizza Aurora, l’Istituto convenuto (e le altre società del gruppo) sono assicurate contro i danni per l’attività di terzi di cui debbano rispondere e non siano assicurati i terzi responsabili.
La Cassazione accoglie in parte le doglianze
L’assicurazione deduce che dal testo letterale delle condizioni contrattuali si evince inequivocabilmente:
- (i) che entrambe le polizze individuano come assicurato il soggetto il cui interesse è protetto dall’assicurazione.
- (ii) che la polizza Aurora assicurazioni copre la responsabilità civile personale nei confronti di terzi delle Ditte fornitrici di manodopera.
- (iii) che la individuazione nella Specifica della polizza Aurora di altre quattro strutture come assicurate, oltre all’Istituto di Riabilitazione è unicamente volto a individuare altri Enti che beneficiano della garanzia, ma non a delimitare la nozione di assicurato che è oggetto di una specifica definizione da porre in relazione con il tenore della regolamentazione contrattuale.
Errore dell’infermiera: non era coperta dalla polizza assicurativa stipulata dalla casa di cura
La ricorrente, in definitiva, fonda la propria censura sulla clausola del contratto assicurativo secondo cui “Qualora esista polizza di responsabilità civile stipulata dall’Azienda Sanitaria pubblica o da struttura privata ove l’Assicurato eserciti la professione, che assicura il personale sia dipendente che libero professionista, e/o polizza di responsabilità civile stipulata dall’Assicurato, la presente assicurazione agirà in eccesso ai massimali garantiti dalla/e polizza/e sopra indicata/e, e comunque fino alla concorrenza del massimale del presente contratto. Resta inteso che in caso di non operatività dell’altra/e assicurazione/i, la presente polizza si intenderà operante a primo rischio. L’assicurazione vale anche per il caso di rivalsa esercitata dall’Azienda Sanitaria pubblica e/o da struttura privata o da chi per essa nei confronti dell’Assicurato”. Sostiene, infatti, l’erroneità della decisione di merito che ha escluso la infermiera dal novero degli assicurati in forza della polizza (Aurora Assicurazioni) stipulata dalla Struttura sanitaria. La censura non è fondata.
Come confermato proprio dalla assicurazione, fatto salvo il caso di dolo, la Società dichiara di rinunciare all’azione di surroga prevista dall’articolo 1916 c.c. Perciò, in base alla lettera del contratto (e, quindi, allo stesso criterio ermeneutico dell’art. 1362 c.c. che la ricorrente assume violato), la infermiera, non dipendente dell’Istituto, ma dell’agenzia interinale, non era coperta dalla polizza assicurativa stipulata dalla casa di cura con la Aurora Assicurazioni. di conseguenza, l’interpretazione data dai Giudici è più che plausibile.
Non è condivisibile la ripartizione dell’onere della prova delineata dalla Corte d’Appello
Venendo ora alle cause del decesso del paziente, il secondo Giudice afferma, che non avendo la Compagnia provato le relative cause, e in particolare la sua non riconducibilità all’evento lesivo imputabile alla infermiera, non potrebbe procedersi ad alcuna riduzione delle poste risarcitorie, nonostante la premorienza del paziente… non è assolutamente condivisibile la ripartizione dell’onere della prova delineata dalla Corte d’Appello.
La suddetta censura è fondata in quanto “Qualora la vittima di un danno alla salute sia deceduta, prima della conclusione del giudizio, per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito, l’ammontare del risarcimento spettante agli eredi del defunto iure successionis va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato e non a quella statisticamente probabile, sicché tale danno va liquidato in base al criterio della proporzionalità, cioè assumendo come punto di partenza il risarcimento spettante, a parità di età e di percentuale di invalidità permanente, alla persona offesa che sia rimasta in vita fino al termine del giudizio e diminuendo quella somma in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti”.
L’onere di dimostrare il danno risarcibile e il nesso causale tra la condotta e il predetto danno incombe sul danneggiato
La Corte di appello ha sottolineato, errando, che non vi è prova che la causa del decesso non sia ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito e afferma che l’onere di dimostrare la non incidenza della malpractice sanitaria sulla morte incombe sul danneggiante, trattandosi di eccezione rispetto al quantum risarcibile. Invece la Cassazione dà continuità all’orientamento secondo cui “l’onere di dimostrare il danno risarcibile e il nesso causale tra la condotta e il predetto danno incombe sul danneggiato, di talché spetta all’erede del paziente provare che il decesso del congiunto costituisce conseguenza dell’evento lesivo e, dunque, che il pregiudizio da risarcire non risente della più breve durata della vita della vittima”.
Nel giudizio di secondo grado è emerso che in realtà il paziente non aveva alcuna funzione intestinale autonoma e che, anzi, il danno di cui è stato chiesto il risarcimento si è verificato proprio per la necessità di intervenire con cateterismi rettali reiterati per garantire le evacuazioni intestinali. Liquidare il danno biologico patito dal paziente come se si trattasse di un danno cagionato ad un soggetto completamente sano implica riconoscere in favore della parte istante la risarcibilità di nocumenti che non sono conseguenza immediata e diretta della condotta asseritamente lesiva
La liquidazione del danno alla salute
Ai fini della liquidazione del danno alla salute, l’apprezzamento delle menomazioni preesistenti concorrenti in capo al danneggiato rispetto al maggior danno causato dall’illecito va compiuto, prima, con una stima in punti percentuali dell’invalidità complessiva (quella risultante dalla menomazione preesistente sommata a quella causata dall’illecito) e di quella preesistente all’illecito, convertendo entrambe le percentuali in una somma di denaro, e, poi, con la sottrazione dal valore monetario dell’invalidità complessivamente accertata di quello corrispondente al grado di invalidità preesistente.
A tali regole, del tutto consoliate, non si sono attenuti i Giudici di appello che non hanno posto in relazione in relazione l’indice percentuale iniziale e quello successivo, apoditticamente ed erroneamente affermando che l’aggravamento del già compromesso apparato gastroenterinale del paziente doveva essere considerato alla stregua di una lesione inferta ad un apparato normalmente funzionante.
Conseguentemente gli Ermellini cassano la sentenza e la rinviano alla Corte di merito per nuovo esame.
Avv. Emanuela Foligno
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