Infermiera non si attiene al piano terapeutico esponendo a grave rischio la paziente

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L’infermiera che non si è attenuta al piano terapeutico della paziente arrecandole grave pregiudizio viene licenziata, ma il provvedimento viene cassato (Cassazione civile, sez. lav., 24/06/2024, n.17306).

La singolare vicenda

La Corte d’Appello di Napoli, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto l’impugnativa del licenziamento per giusta causa intimato il 19 aprile 2019 alla infermiera.

Alla infermiera era stato contestato: “presso il centro di emodialisi… dove ella presta servizio, è in cura la paziente… abitualmente assistita da 14 anni. Alla paziente … è prescritta la somministrazione di una fiala di Retacrit da 4000 unità da effettuare a fine seduta emodialitica. Previa idonea prescrizione, il suddetto farmaco deve essere approvvigionato a cura della stessa paziente, con ritiro presso una farmacia, e consegnato nelle mani dell’infermiera deputata alla effettuazione della seduta e dalla stessa custodito nel frigo farmaci, previa annotazione nel sistema informatico relativamente al detto deposito…
Il giorno 25 Febbraio 2019 un familiare della suddetta paziente le ha consegnato n. 4 fiale di Retacrit di dosaggio da 40.000 unità, evidentemente per errore erogate dalla farmacia, fiale che ella, senza effettuare alcuna verifica, ha depositato nel frigo farmaci annotandone il carico, ma indicando che dette fiale erano di dosaggio pari a 4000 unità, pur differendo, con evidenza, graficamente e cromaticamente, le confezioni esterne. Al termine della seduta dialitica ella ha prelevato una fiala di Retacrit di dosaggio da 40.000 unità e proceduto alla somministrazione, annotando peraltro sulla scheda della paziente l’utilizzo di una fiala di Retacrit da 4000 unità….
A mente dell’articolo 41 del CCNL le mancanze rivestono particolare gravità, atteso che ella non si è attenuta alle prescrizioni del piano terapeutico esponendo a grave rischio la salute della paziente ed ha effettuato una annotazione non veritiera sulla scheda terapeutica personale della paziente stessa. Quanto innanzi, inoltre, ha leso gravemente l’immagine aziendale in riferimento alla affidabilità sotto profilo dell’assistenza clinica nei confronti dei pazienti…”.

La decisione di Appello

I Giudici di appello, accertato lo svolgimento dei fatti come contestati, hanno escluso che l’addebito fosse sussumibile nella previsione di cui all’art. 41 lett. d) del C.C.N.L. (mancata o erronea esecuzione delle prescrizioni terapeutiche) poiché lo stesso “concretizza molto più che una mancata o erronea esecuzione delle prestazioni terapeutiche, ma soprattutto una gravissima negligenza dell’infermiera nella esecuzione dei propri compiti, vieppiù grave se si consideri che la dipendente è operatore sanitario su cui grava sempre un obbligo di protezione della salute del paziente“.

La Corte ha giudicato irrilevante il fatto che la paziente non avesse subito un concreto danno dalla somministrazione del farmaco, e sufficiente ad integrare la giusta causa di licenziamento la astratta idoneità del comportamento a produrre un pregiudizio, valutabile nell’ambito della natura fiduciaria del rapporto. Hanno concluso che il gravissimo inadempimento fosse idoneo a elidere il vincolo fiduciario e giustificasse la decisione di recesso ai sensi dell’art. 2119 c.c. Hanno aggiunto che, comunque, il secondo capoverso dell’articolo 41 C.C.N.L. consente il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo “A) nei casi previsti dal capoverso precedente qualora le infrazioni abbiano carattere di particolare gravità”, e tale caratteristica era stata specificamente contestata alla lavoratrice.

Il ricorso in Cassazione

La lavoratrice contesta in Corte di Cassazione che, in base all’art. 41, lett. d) C.C.N.L., la semplice condotta di erronea esecuzione di una terapia, anche se dolosa, legittima l’applicazione della sanzione conservativa e che solo se la condotta assume particolare gravità può legittimare il licenziamento.

In particolare l’infermiera censura la motivazione della sentenza nella parte in cui si è limitata alla semplice descrizione dell’accadimento senza individuare il quid pluris idoneo a sorreggere la circostanza “di particolare gravità” e senza valutare il marginale grado di colpa, in relazione alla concorrente condotta colposa della farmacista, che ha consegnato un farmaco diverso da quello prescritto. Censura, inoltre, l’omesso esame della relazione medico legale da essa depositata, che attesta l’insussistenza di pericoli connessi alla somministrazione una tantum della posologia di 40.000 unità, e la deposizione del dott. E.S., che ha riferito di come i valori di emoglobina della paziente fossero immutati.

La contraddittorietà della motivazione di Appello

La ricorrente rileva la contraddittorietà della motivazione per avere la sentenza d’appello descritto il comportamento contestato come errata somministrazione della posologia del farmaco durante la terapia dialitica e poi negato che tale condotta rientrasse nella previsione dell’art. 41 lett. d), che punisce con sanzione conservativa la condotta dell’operatore che “ricevuta una prescrizione terapeutica, la ometta o la esegua, per colpa o dolo, in modo erroneo”.

Le censure colgono nel segno. La Corte ha escluso che il comportamento della infermiera potesse essere sussunto nella previsione di cui all’art. 41, lett. d), che punisce con la sanzione conservativa la mancata o erronea esecuzione delle prescrizioni terapeutiche, ed ha ritenuto che il fatto addebitato concretizzasse “molto più che una mancata o erronea esecuzione delle prescrizioni terapeutiche” ed esattamente “una gravissima negligenza dell’infermiera nell’esecuzione dei propri compiti”, ancora più grave “se si consideri che la dipendente è operatore sanitario su cui grava comunque un obbligo di protezione della salute del paziente”.

Ebbene, in via generale, il datore di lavoro non può irrogare un licenziamento disciplinare quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione.

Il licenziamento è una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo

In altri termini, determinate condotte, pur astrattamente ed eventualmente suscettibili di integrare una giusta causa, o un giustificato motivo soggettivo, di recesso ai sensi di legge, non possono rientrare nel relativo novero se l’autonomia collettiva le ha espressamente escluse, prevedendo per esse sanzioni meramente conservative.

Difatti, le norme sul concetto di giusta causa o giustificato motivo soggettivo e sulla proporzionalità della sanzione sono sempre derogabili in melius e la valutazione sulla legittimità del licenziamento disciplinare e sulla proporzionalità della sanzione deve avvenire tenendo conto anche delle previsioni contenute nei contratti collettivi.

Gli aspetti su cui la Corte d’Appello ha costruito la valutazione di “particolare gravità” della condotta attengono alla negligenza nell’esecuzione dei compiti, definita gravissima (in ragione del diverso colore delle confezioni in base al dosaggio del farmaco), e alla qualifica di operatore sanitario su cui grava l’obbligo di cura del paziente. Si tratta, tuttavia, di profili che rientrano in modo piano nella previsione della omessa o errata esecuzione della prescrizione terapeutica.

Tale condotta presuppone negligenza proprio per il mancato controllo del farmaco da somministrare. Sicché non emerge in modo chiaro in base a quali elementi l’inadempimento della lavoratrice sia risultato connotato di quella particolare gravità richiesta dalla fonte collettiva ai fini della attrazione della condotta tra quelle legittimanti la sanzione espulsiva.

Oltre a ciò, la Corte, pur avendo correttamente interpretato le disposizioni contrattuali, ha errato nel fare rientrare il fatto nella previsione dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 41 lett. A), non avendo individuato ed evidenziato nella condotta della lavoratrice elementi atti ad integrare il requisito, dirimente sul piano delle previsioni contrattuali e delle conseguenze sanzionatorie, della “particolare gravità”, quale quid pluris idoneo a proiettare l’infrazione commessa fuori dall’area della sanzionabilità con misure conservative.

La sentenza impugnata viene cassata, con rinvio del procedimento alla medesima Corte d’Appello in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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