Tribunale e Corte di Appello dichiarano colpevole di lesioni personali pluriaggravate l’infermiera di terapia intensiva neonatale per avere somministrato morfina al neonato provocandogli overdose con arresto respiratorio. La Cassazione conferma le condanne (Cassazione penale, sez. V, dep. 29/12/2023, n.51741).

I fatti

Il neonato, nato leggermente prematuro e da madre assuntrice saltuaria di cannabis, aveva, tuttavia, recuperato peso e prima delle ore 21 stava bene, senza terapie in corso e in via di dimissione. Nel Box 1, in cui il neonato era collocato, erano di turno, la sera dei fatti, un medico (Dott.ssa B.E.) e un’infermiera (D.G.E.); nel reparto, erano di turno anche gli infermieri A.G. (box rosa), B.C. (box incubatrici) e la ricorrente, assegnata al box isolamento.

Il quadro clinico del neonato si modificava a partire da poco prima delle ore 22, per poi degenerare, in seguito a due gravi crisi respiratorie, delle ore 23.45 e delle ore 24; in assenza di ragioni che giustificassero tale peggioramento, il Medico di reparto aveva chiesto alle infermiere se avessero, anche accidentalmente, somministrato al bimbo qualche farmaco, ricevendo risposta negativa, determinandosi, quindi, alla somministrazione di un farmaco antagonista delle benzodiazepine (Flumazenil); in quel frangente, la ricorrente suggeriva una fiala di un farmaco specifico antagonista degli oppiacei (Narcan 0,5 mg.), chiedendo alla collega di andare a prenderlo; somministrato tale farmaco, la crisi si risolveva. Le analisi del giorno seguente, disposte dalla Dott.ssa B.E., avevano riscontrato una elevata concentrazione di oppiacei, nello specifico, di morfina, che confermava la avvenuta somministrazione di tale sostanza la sera precedente.

La vicenda giudiziaria

II Tribunale di Verona, con sentenza del 14 luglio 2020, dichiarava l’infermiera colpevole di lesioni personali pluriaggravate (con condanna a 3 anni e 6 mesi di reclusione) per avere somministrato morfina cloridrato al neonato B.T., senza prescrizione medica e senza necessità terapeutiche, provocandogli una overdose con arresto respiratorio che richiedeva manovre di rianimazione e intubazione di emergenza, risolvendosi la crisi con la somministrazione di naloxone, farmaco antagonista degli oppiacei.

La Corte di Appello, in accoglimento parziale dell’appello della parte civile, riconosceva anche la responsabilità civile dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata condannandola, in solido con l’imputata, al risarcimento dei danni causati alle parti civili.

La ricostruzione dei fatti della Corte d’Appello

Secondo la tesi difensiva dell’infermiera la motivazione della condanna sarebbe fondata su una successione cronologica e non logica degli eventi, priva di una valutazione unitaria del materiale

I Giudici hanno ritenuto che la somministrazione di morfina era stata volontaria e non accidentale, da parte di una persona che si trovava in prossimità del neonato nell’orario sopra indicato, che aveva la disponibilità della sostanza ed esperienza pratica nel suo utilizzo:

– La circostanza che la sera dei fatti, la ricorrente si era occupata, senza alcuna ragione, del bimbo, in orario ritenuto compatibile con il momento della somministrazione della morfina. Si era recata al box l, prendendolo in braccio, cullandolo, portandolo anche in cucina, pur in presenza dell’infermiera addetta a quel box; secondo i Giudici di merito, tale presenza prolungata e ingiustificata della ricorrente al box 1 è sospetta e sintomatica di una finalità diversa da quella, rappresentata dall’imputata, di volere aiutare le colleghe particolarmente oberate, cercando di far addormentare il bimbo che piangeva;

L’infermiera aveva a disposizione proprio la morfina la sera dei fatti, avendo in affidamento una bimba curata con tale farmaco;

Il suggerimento dato dalla stessa infermiera sulla terapia da somministrare al bimbo per far regredire la grave crisi respiratoria, indicando correttamente il farmaco antagonista della morfina e il dosaggio;

– Le dichiarazioni false e contraddittorie rese fin dalle prime fasi delle indagini, giungendo a negare di avere dato il suggerimento sulla terapia, circostanza riferita, invece, da tutti i medici e infermieri presenti quella sera.

I Giudici di merito hanno ritenuto gli indizi emersi a carico della infermiera di tale spessore e forza dimostrativa della responsabilità, da potersi prescindere da altri dati fattuali emersi nel giudizio, pure valorizzabili in termini accusatori.

La Corte di appello ha, in sintesi, osservato che “la prossimità della relazione tra la infermiera e il neonato… è dimostrata e pacifica, tale da offrire all’imputata le più diverse opportunità di somministrargli gocce di morfina per via orale… senza destare sospetti nelle colleghe”.

Il giudizio della Cassazione

In Cassazione sono inammissibili quelle doglianze che non denuncino mancanze argomentative e illogicità ictu oculi percepibili dell’apparato argomentativo, ma tendano a ottenere un non consentito sindacato su scelte valutative compiute dai Giudici del merito che ha dato conto adeguatamente delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua e logica.

La S.C. rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Avv. Emanuela Foligno

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