Inestetismi derivanti da intervento di chirurgia estetica vengono contestati dopo 9 anni dalla paziente (Trib. Reggio Emilia, sent., 16 febbraio 2022). .

Inestetismi derivanti da intervento di chirurgia estetica vengono contestati a significativa distanza dalla paziente e il Tribunale rigetta la domanda per carenza di nesso causale.

Difatti, il Tribunale di Reggio Emilia respinge la domanda di risarcimento dei danni richiesta dalla donna

L’attrice, quasi nove anni dopo un intervento di mastoplastica aditiva, che le causava a suo dire presunti problemi di salute, promuoveva un ATP nei confronti della Struttura e del Medico deducendo l’esistenza di una colpa medica.

Nel caso di responsabilità sanitaria, l’onere della prova spetta al paziente che deve provare il nesso causale tra l’insorgenza della patologia e la condotta del medico, e solo in un secondo momento compete al sanitario provare di avere usato la diligenza massima nel fornire la prestazione.

L’intervento veniva eseguito nel 2011 e nell’ottobre 2019 la donna promuoveva un ATP ex art. 696 bis c.p.c. nei confronti del Chirurgo e della Struttura  deducendo l’esistenza di una colpa medica nell’effettuazione dell’intervento e domandando di quantificare il danno subìto.

Dopo il deposito dell’ATP, la paziente promuoveva giudizio di merito  chiedendo il pagamento della complessiva somma di € 3.900,30, sul presupposto che l’ATP avrebbe confermato l’esistenza di un erroneo intervento di chirurgia di mastoplastica additiva, produttivo di inestetismi derivanti da differenza di forma e volume delle due mammelle.

La Struttura deduce l’assenza di colpa medica, sul presupposto che, così come accertato dall’ATP, i modesti inestetismi derivanti dalla mastoplastica, integrati da una leggera asimmetria mammaria, erano riferibili ad una complicanza ben descritta nella letteratura scientifica e della quale la paziente era stata adeguatamente informata.

Il Giudice, richiama e fa propri gli esiti dell’ATP, sostanzialmente non contestati dal CTP della donna.

Rimarcate le difficoltà di una valutazione effettuata dopo nove anni dai fatti ed in mancanza di documentazione intermedia prodotta dall’attrice, il collegio peritale, sugli inestetismi lamentati, ha concluso che “da un punto di vista chirurgico plastico, non si hanno elementi documentali che ci permettano di affermare che la modesta asimmetria mammaria esistente e la modesta dislocazione verso l’alto e lateralmente della protesi mammaria sinistra siano la conseguenza di un errato allestimento delle tasche sottomuscolari di alloggiamento delle protesi. Difatti, sulla scorta della documentazione in atti, questa assurge unicamente ad un’ipotesi, potendosi per contro affermare, viste anche le discordanze tra quanto indicato nella perizia e quanto effettivamente registrato in occasione della visita peritale, che le dismorfie rilevate siano probabilmente la conseguenza della contrattura capsulare, evento prevedibile ma non prevenibile dai Sanitari, per cui non sarebbe rilevabile alcuna censura.”

In sostanza, per un verso non vi è prova che i modestissimi inestetismi, poi valutati nella misura del 2,5% di danno biologico, siano riconducibili a colpa medica; per altro verso ed in ogni caso, la leggera dismorfia rilevata ben potrebbe derivare da una contrattura capsulare, cioè da una complicanza prevedibile ma non prevenibile dai sanitari, per la quale è stato raccolto un adeguato consenso informato, ciò che esclude la possibilità di un addebito per colpa ai sanitari stessi.

Deriva quindi che l’attore, cui incombeva l’onere probatorio, non ha provato il necessario presupposto della colpa medica posto alla base della domanda risarcitoria.

La paziente, nulla ha osservato in proposito, limitandosi a richiamare le risultanze dell’ATP che, per i motivi sopra indicati, viene ritenuto favorevole alla convenuta e sfavorevole all’attore stesso.

Per tali ragioni la domanda attorea viene rigettata con condanna alle spese.

Avv. Emanuela Foligno

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