Infermiera si punge con l’ago della siringa (Cassazione civile, sez. lav., dep. 10/11/2022, n.33239).

Infermiera si punge con l’ago della siringa e contrae l’epatite C.

La Corte di Appello di Napoli, confermando la pronuncia del Tribunale di Benevento, ha respinto la domanda di risarcimento del danno proposta dall’infermiera nei confronti dell’Azienda Ospedaliera conseguente ad infortunio sul lavoro.

I Giudici, rilevato che la dinamica dell’incidente era pacifica (l’ infermiera  durante un prelievo ematico ed a causa di un improvviso movimento della paziente ricoverata, si era punta un dito con l’ago sporco di sangue ed aveva contratto l’Epatite C),  ha ritenuto insussistente una responsabilità del datore di lavoro posto che era emerso dal quadro istruttorio che: la lavoratrice era dotata di presidi di protezione individuale (maschere, guanti, visiere); aveva conoscenza che la paziente era affetta da epatite C; aveva utilizzato un ago “butterfly” (e non un ago normale) pur sapendo che era più corto degli aghi normali e nonostante le istruzioni diramate ai sanitari sugli accorgimenti da adottare per il prelievo venoso sottolineassero che questo tipo di ago era normalmente sconsigliato; aveva partecipato a corsi specifici in materia di tutela della salute degli operatori sanitari.

La Corte territoriale rilevava, inoltre, che l’infortunio era avvenuto per un imprevedibile movimento della paziente (che si era mossa per rispondere al telefonino che squillava) ed era dunque da attribuirsi al caso fortuito.

La lavoratrice propone ricorso per cassazione deducendo la violazione degli artt. 2087 e 2697 c.c., avendo trascurato che la responsabilità contrattuale sussiste anche in caso di comportamento colposo o negligente del datore di lavoro, responsabilità che va esclusa solamente in caso di condotta abnorme del lavoratore, insussistente nel caso di specie, e potendosi adottare presidi più avanzati di protezione (quali gli “aghi retrattili”).

Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione avendo trascurato che la società non aveva dotato gli infermieri di “aghi retrattili”, sistemi di protezione più sicuri, come riferito dal CTU; inoltre, uno dei testi ha riferito di non essere a conoscenza delle condizioni di replicazione della infezione da cui era affetta la paziente.

I motivi sono fondati.

I Giudici di appello hanno escluso un profilo di colpa del datore di lavoro rilevando che la dipendente, con qualifica professionale idonea a far comprendere i rischi ricorrenti durante un prelievo ematico, aveva i presidi di protezione necessari per evitare l’infortunio (maschera, visiera, guanti di vario tipo e dotazione di aghi, di lunghezza normale o tipo “butterfly”), era stata istruita sulla necessità di utilizzare l’ago “butterfly”, più corto degli aghi normali, solamente in casi particolari (“paziente con vene difficili o un paziente che deve essere sottoposto, subito dopo il prelievo, a terapia infusiva”, situazioni non ricorrenti nel caso di specie), non potendosi supporre che l’accidentale puntura della lavoratrice sarebbe stata evitata dalla presenza di “aghi retrattili”.

Ha trascurato, inoltre, che il CTU aveva sottolineato che si poteva “ricorrere a mezzi più avanzati di protezione” ossia a “dispositivi medici realizzati secondo una tecnologia diretta a tutelare il personale medico da ferite da oggetti taglienti dovute a distrazioni. Sono disponibili dispositivi medici dotati di caratteristiche di sicurezza allo scopo di prevenire tali ferite. Queste caratteristiche comprendono: dispositivi dotati di ago con cappuccio protettivo o di ago retrattile, con azionamento manuale; dispositivi dotati di ago con cappuccio protettivo o di ago retrattile, con azionamento automatico”.

La responsabilità del datore di lavoro  è collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento: ergo, incombe al lavoratore ex art. 2697 c.c. l’onere di provare l’esistenza di tale danno e la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’una e l’altra,  mentre spetta poi al datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia o l’infortunio del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento.

La Suprema Corte ribadisce che l’obbligo di prevenzione di cui all’art. 2087 c.c., impone all’imprenditore di adottare non soltanto le misure tassativamente prescritte dalla legge in relazione al tipo di attività esercitata, che rappresentano lo “standard minimale” fissato dal legislatore per la tutela della sicurezza del lavoratore, ma anche le altre misure richieste in concreto dalla specificità del rischio e praticate normalmente nel settore, atteso che la sicurezza del lavoratore è un bene protetto dall’art. 41 Cost., comma 2.

Ebbene, la Corte d’Appello, non ha dato corretta applicazione a tali regole poiché ha tralasciato di verificare se, all’epoca dell’infortunio subito dall’infermiera, l’adozione di aghi retrattili per lo svolgimento dell’attività del prelievo di sangue rappresentava un livello di sicurezza generalmente praticato nel settore ospedaliero e, dunque, si trattasse di presidio di sicurezza esigibile dalla lavoratrice.

La Corte territoriale non ha svolto un esaustivo accertamento in ordine agli obblighi di protezione imposti al datore di lavoro operante nel settore sanitario da norme di legge, ovvero suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento.

Il ricorso viene accolto, la sentenza cassata e rinviata alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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