Con la decisione in esame, inerente infortunio sportivo, la Suprema Corte ribadisce alcuni concetti inerenti la responsabilità contrattuale ed extracontrattuale (Cassazione civ., sez. III, 18 ottobre 2024, n. 27069).
I fatti
La vittima cita a giudizio l’Associazione sportiva e il Comune chiedendo la condanna al risarcimento dei danni da lui sofferti nel corso di una partita di calcio amatoriale.
L’uomo, nell’estate 2005, partecipava a un torneo di calcio amatoriale organizzato dall’Associazione convenuta che si era obbligata, dietro versamento di una somma, a stipulare un contratto di assicurazione per gli eventuali infortuni di gioco.
Durante la partita del 2/10/2005, a causa del violento scontro col portiere della squadra avversaria, aveva riportato la frattura scomposta della mandibola. Tale incidente era stato causato, a suo dire, dall‘insufficiente illuminazione del campo sportivo, da ricondurre a colpa del Comune convenuto. A seguito dell’infortunio, che aveva reso necessari il suo ricovero e un conseguente intervento chirurgico, era emerso che l’Associazione non aveva, in realtà, stipulato alcun contratto di assicurazione, contrariamente a quanto pattuito.
La vittima, pertanto, ha invocato il titolo di responsabilità contrattuale nei confronti dell’Associazione, l’art. 2043 cc rispetto al portiere avversario e l’art. 2051 cc nei confronti del Comune.
La vicenda giudiziaria
Il Tribunale di Torre Annunziata rigetta la domanda. La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 29 marzo 2022, ha rigettato l’appello principale, ha accolto quello incidentale, ha riformato in parte la decisione del Tribunale in ordine alla liquidazione delle spese, ha confermato nel resto detta sentenza e ha regolato le ulteriori spese del grado.
La Corte di Napoli, dopo avere ricordato che il CTU aveva riconosciuto, a carico della vittima, postumi invalidanti nella misura del 7%, ha sostenuto che l’attore avrebbe dovuto dimostrare il beneficio che avrebbe potuto trarre dall’esistenza della polizza assicurativa, tanto più in considerazione del fatto che simili polizze hanno, solitamente, uno scoperto non inferiore al 5% dei postumi invalidanti.
In altri termini, secondo i Giudici di appello, l’attore doveva dedurre e dimostrare le effettive conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’omessa stipula della copertura assicurativa per il c.d. rischio atletico, anche in considerazione del limite della prevedibilità dei danni (art. 1225 cc) esistente in materia di responsabilità contrattuale.
La decisione della Corte di appello di Napoli contiene un errore di diritto, consistente nella errata applicazione delle regole sugli oneri probatori.
L’intervento della Suprema Corte
l ricorrente sostiene che – anche volendo trascurare l’impossibilità di dimostrare l’esistenza di un limite all’indennizzo per infortunio in relazione ad una polizza che non esiste – la sentenza avrebbe comunque errato.
Ed invero, una volta accertato l’inadempimento rispetto all’obbligo di stipula del contratto di assicurazione, la sentenza avrebbe dovuto accogliere la domanda, almeno nel limite dei danni prevedibili. La dimostrazione, da parte del creditore, del fatto dell’inadempimento determinerebbe la ricaduta sul debitore dell’onere di dimostrare l’esattezza del proprio adempimento. Il ricorrente ritiene, in sostanza, che l’avvenuta dimostrazione dell’esistenza di postumi invalidanti a seguito dell’infortunio sposti sul debitore l’onere di “provare eventuali limitazioni dell’entità dell’indennizzo” spettante al danneggiato (come una sorta di massimale di polizza), mentre la Corte d’appello avrebbe addossato al danneggiato un onere probatorio di impossibile soddisfacimento.
La doglianza è corretta. La Corte di Napoli, infatti, ha dato per dimostrato che il torneo di calcio amatoriale, nel corso del quale la vittima subiva lesioni fisiche, era stato disputato dai partecipanti nella convinzione di essere coperti da apposita assicurazione. Ha anche aggiunto che l’organizzatrice del torneo aveva fornito apposite “rassicurazioni” ai partecipanti circa il fatto che una parte della quota di iscrizione sarebbe stata destinata, appunto, alla stipula del contratto di assicurazione. Ciò nonostante, è pacifico che quel contratto non fu mai stipulato.
L’errore dei giudici di Appello
Partendo da ciò, i Giudici hanno tratto la conclusione secondo cui “l’attore avrebbe dovuto fornire riscontro probatorio del beneficio che avrebbe tratto se una polizza assicurativa fosse stata effettivamente stipulata, posto che simili assicurazioni prevedono, di norma, uno scoperto non inferiore al 5% dei postumi invalidanti.”
In questo modo è stato rovesciato sul danneggiato l’onere di provare l’utilità dell’ipotetica polizza non sottoscritta. Il ragionamento è errato perché, trattandosi di responsabilità contrattuale, al creditore non può essere posto alcun altro onere che non sia quello di dimostrare l’esistenza del contratto (nella specie, cioè, l’esistenza dell’impegno a stipulare una polizza assicurativa) e l’inadempimento del debitore.
Rimane invece a carico del debitore l’onere di dimostrare o che l’inadempimento non sussiste, o che è stato determinato da causa a lui non imputabile o che, eventualmente, si tratta di un inadempimento irrilevante a fini risarcitori.
Il ragionamento che la Corte di Napoli ha compiuto in ordine al fatto notorio per cui “le assicurazioni per attività sportive amatoriali prevedono solitamente determinate franchigie” non elimina l’errore in diritto, secondo cui doveva essere l’attore a “dedurre e provare le effettive conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’omessa stipula” del contratto di assicurazione.
Una volta dimostrato, che l’obbligo di stipulare il contratto c’era e che vi era stato inadempimento, avrebbe dovuto essere il debitore a dimostrare l’irrilevanza dell’inadempimento derivante dall’esistenza di una franchigia tale da rendere comunque non indennizzabile il sinistro.
La sentenza impugnata viene cassata su questo punto.
Avv. Emanuela Foligno