Viene ravvisata una colpa concorrente del 50% del lavoratore per sopravvalutazione delle proprie capacità e per la esperienza pregressa maturata (Corte d’Appello di Perugia, Sez. lavoro, Sentenza n. 184/2021 del 29/07/2021 RG n. 204/2020)

Con ricorso depositato dinanzi al Tribunale di Spoleto il 17 aprile 2015, il lavoratore cita a giudizio il titolare dell’impresa datrice per sentirlo condannare al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali subiti in conseguenza dell’infortunio sul lavoro occorsogli il 21 giugno 2007, determinati nell’importo complessivo di euro 384.020,99, al netto della provvisionale di euro 30.000,00 corrispostagli in esecuzione della sentenza della Corte d’appello di Perugia, Sezione penale, n. 538/2013. Si costituisce in giudizio il datore, chiedendo, in via preliminare, di essere autorizzato a chiamare in causa la compagnia assicuratrice e contestando la domanda nell’an e nel quantum. La causa veniva istruita con l’espletamento di CTU medico-legale che accertava “pregressa lussazione post-traumatica di spalla destra; esiti di frattura del trochite omerale destro; paralisi del nervo circonflesso (o ascellare) destro EMgraficamente accertata; lesione del sovraspinoso con sofferenza degenerativa della cuffia dei rotatori di destra e marcata limitazione funzionale della spalla destra, in destrimane. Pregresso trauma distorsivo-contusivo ginocchio destro, pregresso trauma distorsivo cervicale e lombare in soggetto con preesistenti ernie discali lombari”. Veniva, inoltre, riconosciuto anche un danno alla cenestesi lavorativa, rientrante nella categoria del danno alla salute e consistente nella maggiore usura, fatica, o difficoltà incontrate dal soggetto nello svolgimento delle attività lavorative, determinato nel 43% comprensivo del danno alla cenestesi lavorativa.

Il Tribunale, accertata l’esclusiva responsabilità del datore nella determinazione dell’infortunio, lo condannava a pagare al ricorrente la somma di euro 161.430,41 per il danno non patrimoniale, al netto di quanto corrispostogli dall’INAIL a titolo d’indennizzo del danno biologico, oltre agli interessi legali per il ritardato pagamento.

Il datore di lavoro ricorre in appello e il lavoratore propone appello incidentale chiedendo che la Corte rideterminasse, in misura superiore a quella stabilita dal Tribunale di Spoleto, il danno alla salute da lui sofferto, tenendo conto del danno da cenestesi lavorativa, con la conseguente riforma parziale della sentenza impugnata.

Osserva la Corte che il Tribunale di Spoleto ha ritenuto che il giudicato formatosi sulla sentenza n. 653/2013 della Carte d’appello di Perugia, Sezione penale, per il delitto di lesioni colpose aggravate integrato dall’infortunio occorso, fosse limitato all’accertamento della responsabilità dell’imputato nella determinazione dell’evento, mentre non si estendeva alla declaratoria concernente il concorso di colpa del danneggiato, indicato dal giudice penale nel 50%. Di conseguenza, tenuto conto del grado di danno biologico accertato mediante la CTU medico -legale espletata, pari al 4 3%, compreso il danno alla cenestesi lavorativa, ha condannato il datore a corrispondere l’importo di euro 161.430,41, pari al la differenza tra il danno non patrimoniale, calcolato, in base alle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, in euro 308.677,00, e l’indennizzo del danno biologico erogato dall’INAIL.

L’appellante principale contesta la decisione del Tribunale, il quale, a suo avviso, ha errato nel non tenere conto dell’accertamento del concorso di colpa del lavoratore, compiuto nella sentenza penale, divenuta definitiva. Inoltre, nel determinare il quantum del risarcimento ipoteticamente spettante al ricorrente, il giudice ha detratto dall’importo calcolato alla data della sentenza – 24 settembre 2020 – l’ammontare dell’indennizzo erogato dall’INAIL , calcolato al 2008 e, quindi, espresso in valori non omogenei. Chiede, pertanto, la riforma della sentenza di primo grado, con il conseguente rigetto delle domande dell’attore.

In seguito all’infortunio, il datore fu rinviato a giudizio nel procedimento penale n.1131/2007 R.G.N.R., “imputato del reato punito dall ‘art. 590, comma 1, 2 e 3 c.p. perché, quale titolare e responsabile dell’omonima impresa, per negligenza, imprudenza, imperizia e violazione del D. L.vo 626/94 e 57 del D.P.R. 164/56, omettendo di provvedere ad una adeguata informazione ai lavoratori addetti al cantiere ed alla loro formazione in materia di sicurezza e salute, con particolare riferimento alla procedura di montaggio e uso di un argano e omettendo, altresì, di curare l’impiego di specifiche misure e cautele atte ad assicurare il funzionamento corretto e senza rischi dell’argano stesso, cagionava per colpa lesioni gravi al lavoratore, precipitato dal secondo piano del vano ascensore del fabbricato in costruzione a causa del cedimento del precario apparato che sorreggeva lo strumento di sollevamento.

Il Tribunale di Spoleto, con sentenza del 17 febbraio 2012, assolse per l’insussistenza del fatto. Avverso la decisione, interpose appello la parte civile. Con la sentenza n. 563/2013, la Corte d’appello, statuendo sulla sola domanda civile, in riforma della sentenza impugnata, dichiarò la responsabilità civile del datore in ordine al fatto addebitatogli e, riconosciuto il concorso di colpa dell’infortunato nella misura del 50%. La sentenza non fu impugnata e passò in giudicato il 26 ottobre 2013.

Come accertato dal giudice penale, “mai i lavoratori avevano ricevuto indicazioni di sorta circa le modalità di svolgimento dei lavori demandati nel detto cantiere, il mattino del 21.6.2007 a fronte della necessità del sollevamento della malta di cemento sino al secondo piano era stato installato nel vano ascensore un argano ;… i lavoratori non avevano ricevuto alcuna formazione in materia di sicurezza anche quanto all’utilizzo dell’argano”.

Quanto alle responsabilità per l’evento infortunistico, nella sentenza penale si osservava: “Orbene ritiene la Corte che tali circostanze del fatto consentano di ravvisare nella condotta del datore di lavoro plurime violazioni antinfortunistiche, in materia di prevenzione degli infortuni negli ambienti di lavoro, del tutto eziologicamente ricollegabili all’infortunio del 21.6.2007, cosi come del resto fatto palese dallo stesso tenore della imputazione contestata.”

Orbene, la Corte non ritiene che possa ritenersi imprevedibile ed anomala una iniziativa del genere di quella intrapresa dal lavoratore consistita nell’utilizzo di un argano nel cantiere al fine della esecuzione dei lavori demandati, anche perché l’utilizzo dell’argano obiettivamente velocizzava i lavori.

Oltretutto, l’argano era stato prelevato dall’infortunato, la stessa mattina del 21.6.2007 , dal deposito della ditta, a significazione di una disponibilità incontrollata del detto strumento a semplice iniziativa di ogni operaio della ditta, e comunque, di una consuetudine aziendale alla stregua della quale era di fatto consentito l ‘accesso al deposito della ditta e la disponibilità dei materiali e strumenti in essa custoditi, senza controllo alcuno da parte del datore di lavoro.

Viene ribadito che “il compito precipuo del datore di lavoro è molteplice ed articolato e va dalla istruzione dei lavoratori sui rischi di determinali lavori e dalla necessità di adottare certe misure di sicurezza, alla predisposizione di queste misure: di talché… il datore di lavoro deve avere la cultura e la forma mentis del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità del lavoratore e non deve perciò limitarsi ad informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro”.

Conseguentemente, la condotta antigiuridica del datore di lavoro appellante risiede nel fatto di non aver indicato, in violazione dei propri doveri, ai lavoratori dipendenti le precise modalità operative con le quali i lavori demandati dovevano essere espletati, gli eventuali strumenti da utilizzare e nel non aver controllato che le proprie direttive fossero rispettate.

I lavoratori non avevano mai partecipato a corsi di formazione per la sicurezza, ma non avevano neppure sottoscritto per conoscenza alcuno specifico documento relativo alla sicurezza del cantiere in questione.

Il committente delle opere di quel cantiere avrebbe dovuto aggiornare il piano di sicurezza e coordinamento di cui all’ar t. 12 del D.Lgs. 4 94 del 1996 ed il titolare della ditta esecutrice dei lavori , avrebbe dovuto redigere il POS.

Ergo, la Corte ritiene che la condotta del lavoratore, culminata nell’infortunio, non abbia i caratteri della abnormità, e non abbia quindi una efficienza causale tale da escludere ogni nesso causale tra l’evento e la condotta dello stesso, tuttavia, va ravvisata una colpa concorrente del 50% in ragione di una evidente sopravvalutazione da parte dello stesso delle proprie capacità e della esperienza maturata, quale lavoratore autonomo, in data anteriore alla assunzione nella ditta datrice.

Il nodo da sciogliere, in rapporto alla censura dell’appellante principale, è se nell’accertamento del fatto, compiuto dal Giudice penale, rilevante in sede civile ai sensi dell’art. 651 c.p.p., debba comprendersi anche la valutazione del concorso di colpa del danneggiato.

La Corte non ritiene condivisibile la soluzione data al quesito dal Tribunale.

Secondo l’art. 651 c.p.p., la sentenza penale di condanna, pronunciata all’esito del dibattimento e divenuta irrevocabile, fa stato quanto alla sussistenza del fatto, alla sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato l ‘ha commesso, nel giudizio civile promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero che sia intervenuto nel processo penale.

La precedente sentenza resa dalla Corte d’appello nel 2013 non si è pronunciata sulla responsabilità penale, bensì sulla responsabilità civile.

L’appello avverso la sentenza di primo grado era stato proposto dalla sola parte civile, ossia l’infortunato; di conseguenza, il giudizio celebrato dinanzi alla Sezione penale era, in realtà, un giudizio concernente i soli aspetti civili della vicenda, centrato sulla domanda di risarcimento dei danni avanzata dal lavoratore, che, costituitosi parte civile, vi partecipò a pieno titolo, al punto che promosse egli stesso il giudizio d’appello.

Al riguardo viene richiamato l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite, in base al quale: “Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l ‘accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo”.

Pertanto, avendo il giudice penale accertato e quantificato, nel giudizio d’appello promosso dal danneggiato costituitosi parte civile, il concorso di colpa di quest’ultimo nella determinazione dell’evento lesivo, non può il giudice del lavoro, adito dall’infortunato per la liquidazione del risarcimento, procedere a una nuova -ed eventualmente diversa – valutazione circa l’esistenza del concorso di colpa o la sua entità. Pertanto, in questa sede, il concorso di colpa del lavoratore infortunato in misura pari al cinquanta per cento non può più essere messo in discussione, essendosi formato il giudicato tra le parti – danneggiante e danneggiato – sull’accertamento compiuto dal giudice penale , con la conseguenza che di esso si dovrà tener conto nel determinare il risarcimento eventualmente spettante all’appellato.

Innanzitutto al lavoratore spetta il danno differenziale.

Il giudice di primo grado ha determinato il risarcimento utilizzando le tabelle milanesi e postulando la colpa esclusiva del datore di lavoro.

Inoltre, della lesione alla cenestesi lavorativa ha già tenuto conto il Tribunale, poiché il grado del danno biologico del 43% utilizzato per il computo del risarcimento era stato espressamente indicato dal CTU come comprensivo di quella specifica tipologia di danno.

Come base d i calcolo del danno civilistico viene adottato l’importo di euro 308.677,00 , indicato dal giudice di primo grado e, applicato l’abbattimento per il concorso di colpa dell’infortunato, i l risarcimento astrattamente spettante si riduce a euro 154.338, 50.

Il lavoratore ha ricevuto dall’Inail un totale di euro 174.347,85, una somma maggiore rispetto al risarcimento del danno calcolato secondo i criteri civilistici. Il danno differenziale è quindi insussistente.

Conseguentemente, il lavoratore non aveva diritto al risarcimento preteso.

La sentenza impugnata viene riformata e le domande dell’attore vengono respinte.

Avv. Emanuela Foligno

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