“La compensatio lucri cum damno non opera quando il vantaggio conseguito dalla vittima dopo il fatto illecito sia destinato a ristorare pregiudizi ulteriori e diversi da quello di cui ha chiesto il risarcimento” (Cassazione civile, sez. VI, Ordinanza N. 3489 del 13/02/2020)

La Suprema Corte ha cassato la sentenza di appello che scomputava dall’ammontare complessivo dovuto in favore degli attori le somme incamerate dalle assicurazioni a seguito del decesso del loro congiunto, osservando che le prestazioni erogate dalle assicurazioni si collocano nell’ambito delle prestazioni di reversibilità e sono, pertanto, volte al ristoro del danno patrimoniale sofferto dagli eredi e non di quello non patrimoniale e cagionato dal danneggiante.

A seguito di un sinistro stradale, il congiunto decedeva e gli eredi agivano in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali sofferti.

La Corte di Appello scomputava dall’ammontare complessivo dovuto in favore degli eredi le somme corrisposte dalle assicurazioni a seguito del decesso del loro congiunto.

Avverso tale pronuncia gli eredi promuovono ricorso per Cassazione sostenendo l’erroneità della compensazione operata tra rendita riconosciuta dalla assicurazione e riconoscimento del danno non patrimoniale.

La Corte ritiene il ricorso fondato.

Gli Ermellini rilevano che la Corte d’appello ha errato nell’effettuare lo scorporo dal momento che le prestazioni erogate dalle assicurazioni erano equiparabili a prestazioni di reversibilità e, pertanto, volte al ristoro del danno patrimoniale sofferto dagli eredi e non di quello non patrimoniale e cagionato dal danneggiante.

In sostanza, la Suprema Corte si allinea al principio di diritto a mente del quale “la rendita costituita dall’Inail in favore dei superstiti, a norma dell’art. 85 del D.P.R n. 1124 del 1965, ha lo scopo di indennizzare un pregiudizio di natura patrimoniale, sicché il valore capitale di essa non può essere defalcato dal risarcimento del danno non patrimoniale spettante ai medesimi soggetti”.

La compensatio lucri cum damno non è disciplinato da una disposizione di diritto positivo, ma viene individuato dalla giurisprudenza quale regola che concorre a delimitare l’ambito del danno risarcibile.

Il fondamento di tale regola è duplice: esso si rinviene, in primo luogo, nel principio di integralità della riparazione o del danno effettivo, in base al quale il risarcimento deve reintegrare totalmente il patrimonio del danneggiato della perdita subìta e del mancato guadagno (l’art. 1223 c.c.), facendo in modo che egli non sia reso né più ricco né più povero di quanto non fosse prima dell’inadempimento o dell’illecito; in seconda battura, nel principio di causalità giuridica, che impone di tenere conto di tutte le conseguenze immediate e dirette dell’evento dannoso, e dunque non solo delle conseguenze svantaggiose, ma anche di quelle vantaggiose, onde evitare che il risarcimento perda la sua funzione compensativo-riparatoria e determini un indebito arricchimento.

In altri termini, per il medesimo danno non devono essere cumulate attribuzioni aventi la medesima finalità favorendo un ingiustificato arricchimento del danneggiato.

Per la giurisprudenza prevalente, il principio della compensatio lucri cum damno trova applicazione solo quando il lucro sia conseguenza immediata e diretta dello stesso fatto illecito che ha prodotto il danno, non potendo il lucro compensarsi con il danno se trae la sua fonte da titolo diverso.

Si esclude, in tal modo, che il danno risarcibile sia determinato tenendo conto anche di eventuali effetti vantaggiosi che non trovino nell’illecito la loro causa, ma la semplice occasione.

Pacifici e ribaditi i seguenti principi: “(a) alla vittima d’un fatto illecito spetta il risarcimento del danno esistente nel suo patrimonio al momento della liquidazione; (b) nella stima di questo danno occorre tenere conto dei vantaggi che, prima della liquidazione, siano pervenuti o certamente perverranno alla vittima, a condizione che il vantaggio possa dirsi causato del fatto illecito, ed abbia per risultato diretto o mediato quello di attenuare il pregiudizio causato dall’illecito; (c) per stabilire se il vantaggio sia stato causato dal fatto illecito deve applicarsi la stessa regola di causalità utilizzata per stabilire se il danno sia conseguenza dell’illecito”.

Conseguentemente, le somme elargite dall’Inail a titolo di rendita, essendo destinate alla copertura di un danno patrimoniale, non possono essere compensate con le somme riconosciute agli aventi diritto a titolo di danno non patrimoniale: la rendita Inail, ai sensi dell’art. 85 del d.P.R. n. 1124/1965, ha lo scopo di fornire un ristoro di tipo patrimoniale che non può, di conseguenza, essere falcidiato con una compensazione con una somma riconosciuta per altri e diversi tipi di danno (non patrimoniale).

Le rendite erogate sono dovute in esecuzione di una precisa obbligazione previdenziale, in virtù dei versamenti contributivi operati in vita dal congiunto all’Inail nel corso dell’attività lavorativa.

In altre parole, sarebbe la diversità dei titoli della prestazione indennitaria e di quella risarcitoria a giustificare la coesistenza delle rendite e del danno patrimoniale e, quindi, l’esclusione dell’applicabilità della compensatio lucri cum damno.

Sicché l’incremento patrimoniale corrispondente all’acquisto del diritto alla reversibilità, ricollegandosi ad un sacrificio economico del lavoratore, non costituirebbe un vero e proprio lucro.

Per aversi nell’ambito del giudizio di responsabilità civile una riduzione del danno risarcibile, sarebbe necessario che con il danno prodotto concorresse un autentico lucro prodotto, vale a dire un gratuito vantaggio economico.

Se vi è unicità del soggetto responsabile del fatto illecito fonte di danni e che contestualmente è obbligato a corrispondere al danneggiato un beneficio (una provvidenza, un vantaggio), non vi sono dubbi che operi sempre il principio della compensatio.

Nel caso di prestazioni di reversibilità, viene esclusa l’operatività della compensatio lucri cum damno giacché tale provvidenza realizza una tutela previdenziale connessa ad un peculiare fondamento solidaristico e non geneticamente connotata dalla finalità di rimuovere le conseguenze prodottesi nel patrimonio del danneggiato per effetto dell’illecito del terzo.

L’erogazione della pensione di reversibilità non è geneticamente connotata dalla finalità di rimuovere le conseguenze prodottesi nel patrimonio del danneggiato per effetto dell’illecito del terzo.

Il ricorso viene accolto.

Avv. Emanuela Foligno

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