Infortunio dell’operaia e omissioni del datore di lavoro

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La lavoratrice, mentre percorreva il corridoio delle baie di carico, ove viene stoccata la merce in attesa di essere caricata nei container, in corrispondenza del capannone B, lungo le strisce pedonali, veniva investita da un carrello elevatore che stava procedendo in retromarcia.
In conseguenza dell’investimento la donna aveva riportato lesioni personali consistite in ampia ferita da scuoiamento all’arto superiore sinistro con perdita di sostanza al gomito e ampia ferita da scuoiamento alla coscia sinistra, da cui era derivato uno stato di malattia e di incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore a 40 giorni e l’indebolimento permanente della funzione estetica.

Datore di lavoro accusato di imprudenza, negligenza e imperizia

Ciò che viene contestato al legale rappresentante del datore di lavoro è stato individuato nella imprudenza, negligenza e imperizia per non avere garantito che il corridoio delle baie di carico del capannone B fosse conforme ai requisiti di legge: in particolare il tracciato pedonale indicato con segnaletica orizzontale di colore giallo era insufficiente a garantire un livello di sicurezza tale da assicurare l’incolumità del personale a terra data la coincidenza con le zone intensamente interessate da un notevole movimentazione meccanica dei materiali.

La Corte d’Appello di Torino ha disposto nei confronti dell’amministratore unico e legale rappresentante del datore di lavoro, la revoca del beneficio della sospensione condizionale. Con la stessa sentenza la Corte di Appello ha confermato la condanna in relazione al delitto di lesioni colpose commesso ai danni della lavoratrice.

Entrambe le parti impugnano la decisione in Cassazione.

La responsabilità omissiva di tipo colposo in capo al datore di lavoro

La Corte d’appello imputa una responsabilità omissiva di tipo colposo in capo al datore di lavoro, ravvisandone un conseguente vantaggio, ma non un interesse di tipo soggettivo. La Corte avrebbe dovuto enucleare le deficienze strutturali e tipiche dell’organizzazione, tali da integrare la colpa del datore di lavoro nell’avere esposto i propri dipendenti ad una diffusa e generale pericolosità.

Nella sentenza impugnata la Corte non va al di là della constatazione episodica del fatto, senza collegamento alcuno ad altre evidenze che dimostrino l’interesse causalmente collegato alla violazione. Laddove non vi sia la prova che l’omessa adozione delle cautele sia il frutto di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi di impresa e risulti invece l’occasionalità della violazione delle norme antinfortunistiche, deve essere rigorosamente provato il requisito del vantaggio che può alternativamente consistere in un’apprezzabile risparmio di spesa o in un sempre apprezzabile aumento della produttività.

La Cassazione ritiene il ricorso del lavoratore e del datore di lavoro inammissibili e infondati in toto (Corte di Cassazione, quarta penale, sentenza 17 febbraio 2025, n. 6270).

La Corte di Appello ha rilevato che la esatta posizione del pedone e del carrello non erano rilevanti ai fini della individuazione degli addebiti nei confronti del datore di lavoro imputato, posto che l’investimento da parte del carrello del pedone era avvenuto nel mentre questi si trovava nel corridoio delle baie di carico e la lavoratrice avrebbe dovuto rispondere per non avere adeguatamente gestito il rischio derivante dalla compresenza di mezzi e pedoni in quell’area.

Detto in altri termini, secondo i Giudici di appello, non si erano verificati né il travisamento del compendio probatorio decisivo, né la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

La motivazione adottata dalla Corte non si presta a censure

Sotto il profilo del travisamento della prova, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che esso consiste non già nell’errata interpretazione della prova, ma nella palese difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dalla sua assunzione e quelli che il Giudice di merito ne abbia tratto, compiendo un errore idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio e rendendo conseguentemente illogica la motivazione.

Nel caso in esame, dopo che la Corte di Appello ha spiegato in maniera adeguata e corretta le ragioni per cui la posizione del pedone, al momento dell’investimento (sulle strisce che attraversano perpendicolarmente il corridoio, ovvero sul camminamento parallelo alle baie di carico), ai fini della affermazione della responsabilità, non fosse decisiva, la censura posta sul punto, non spiega, alla luce del percorso motivazionale, la decisività del dato asseritamente travisato.

I Giudici di secondo grado hanno spiegato che a seguito dell’incidente occorso alla lavoratrice, l’imputato aveva ottemperato alle prescrizioni impartite dalla Asl, ovvero aveva attuato un ampliamento significativo della larghezza del corridoio ove poteva verificarsi la compresenza di mezzi e pedoni e nel nuovo DVR aveva preso in considerazione il rischio derivante da tale compresenza in maniera più dettagliata, anche con riferimento alla regolamentazione delle velocità di marcia dei carrelli.

Oltre a ciò la corte di secondo grado, ha dato atto che non erano state adottate, in epoca precedente all’infortunio, le necessarie cautele affinché le vie di circolazione fossero situate e calcolate in modo tale che i pedoni, o veicoli, potessero utilizzarle facilmente in piena sicurezza e conformemente alla loro destinazione e che i lavoratori operanti nelle vicinanze di queste vie di circolazione non corressero alcun rischio.

Concludendo, entrambi i ricorsi vengono rigettati.

Avv. Emanuela Foligno

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