Infortunio sportivo e risarcimento del danno (Cass. civ., sez. III, 15 febbraio 2023, n. 4707 – Presidente Scarano – Relatore Scoditti).
Infortunio sportivo durante l’allenamento di arti marziali provoca la rottura del testicolo sinistro.
L’uomo citava in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Trieste, l’altro atleta e la Società Sportiva Dilettantistica chiedendo il risarcimento del danno.
A sostegno della domanda esponeva che durante l’allenamento era stata svolta attività di sparring (combattimento leggero con lieve contatto a coppie) tra i vari partecipanti. Nel corso di tale attività, impegnato con l’altro allievo convenuto a giudizio, subiva un forte calcio ai genitali. Il giorno seguente, avendo accusato dolori nel corso della notte e grosso versamento di sangue, si recava in ospedale e veniva diagnosticata “rottura traumatica del testicolo sinistro”, successivamente asportato.
Veniva disposta CTU che accertava l’esistenza di invalidità permanente nella misura del 6-7%. In sede di proposta di conciliazione del giudizio l’attore accettò la rinuncia alla domanda nei confronti della società sportiva.
Il Tribunale adito rigettò la domanda e, successivamente, la Corte di Appello di Trieste, rigettava il gravame.
Secondo i Giudici di appello, i falli commessi durante lo svolgimento di un’attività sportiva godevano della copertura della relativa scriminante, se ed in quanto frutto di condotte colpose e funzionali al gioco.
In funzione di ciò, l’arte marziale svolta dal danneggiato esigeva il contatto fisico più completo che esistesse ed era, fra tutte le arti marziali, quella più efficace per la difesa personale – tanto da essere raccomandata per l’allenamento delle forze di polizia e dei militari. Seguendo tale ragionamento, il calcio subito, poteva ritenersi connaturato al tipo di disciplina sportiva praticata. Quindi, benché la condotta del convenuto avesse integrato un illecito sportivo, per avere colpito i genitali del danneggiato, l’azione non può dirsi incompatibile con le caratteristiche violente della disciplina.
Motivando in tal senso l’appello viene rigettato.
Lo sportivo si rivolge alla Cassazione lamentando, per quanto qui di interesse, violazione o falsa applicazione degli artt. 2043 c.c., Cost., 32, 50 e 51 c.p..
Secondo il ricorrente, quanto in diritto affermato dal Giudice del merito non può valere nel caso di infortunio sportivo in una disciplina a “violenza necessaria o di combattimento” perché altrimenti si giungerebbe alla soluzione aberrante secondo cui la lesione sarebbe sempre discriminata perché l’atto sportivo sarebbe sempre in collegamento funzionale con l’attività sportiva, salvo situazioni limite.
Aggiunge che, siccome negli sport da combattimento l’aggressione dell’avversario è parte integrante della stessa attività sportiva, la scriminante del “rischio consentito” dovrebbe operare solo ove vengano rispettate le regole del gioco, senza l’uso di colpi proibiti, e che dal regolamento della disciplina vengono definite azioni non lecite i colpi, fra l’altro, al triangolo genitale.
Osserva, ancora, che la violenza con cui l’avversario ha sferrato il calcio ai genitali è stata non necessaria, né funzionale all’atto sportivo, in quanto si trattava di attività di sparring in allenamento, privo quindi di ogni funzione agonistica, e che la gravità della colpa discende anche dall’intensità della forza utilizzata, tale da cagionare la lesione nonostante la protezione della conchiglia.
La Suprema Corte ritiene la censura infondata.
Come affermato dalla giurisprudenza penale, nella valutazione della colpa sportiva è dirimente analizzare “la situazione di fatto in rapporto al contesto e allo sviluppo dinamico dell’azione sportiva lesiva”.
Il fatto accertato dal Giudice del merito, mancando un giudizio di contegno intenzionale, è nei termini della involontaria inosservanza della regola sportiva nel contesto di una attività non agonistica, ma di allenamento, in relazione a disciplina sportiva caratterizzata da elevato contatto fisico.
Ed ancora, come affermato dalla giurisprudenza civile, il ricorso alla violenza, nel caso di violazione della regola sportiva, si traduce in illecito civile se “è tale da non essere compatibile con le caratteristiche proprie del gioco nel contesto nel quale esso si svolge”.
Nel caso ricorra la compatibilità con le caratteristiche della disciplina praticata, l’illecito sportivo non ha natura di illecito civile perché l’evento di danno trova giustificazione nel riconoscimento che l’ordinamento giuridico compie dell’attività sportiva, confinando nell’ambito dell’ordinamento sportivo la rilevanza dell’illecito di origine sportiva.
In altri termini, l’illecito civile ricorre quando la fattispecie eccede la qualificazione di illecito meramente sportivo per l’emersione di una sproporzione della violenza adoperata rispetto alle caratteristiche del gioco ed allo specifico contesto.
Ciò posto, gli Ermellini specificano che l’illecito civile non è desumibile dall’entità delle lesioni (Cass. n. 3284 del 2022), ma dalla evidenziata eccedenza dell’illecito civile rispetto all’illecito sportivo.
Viene pertanto enunciato il seguente principio di diritto: “nello sport caratterizzato dal contatto fisico e dall’uso di una quota di violenza la violazione nel corso di attività di allenamento di una regola del regolamento sportivo non costituisce di per sé illecito civile in mancanza di altre circostanze rilevanti ai fini del carattere ingiustificato dell’azione dell’atleta”.
Il ricorso viene respinto.
§§
La decisione a commento, dalla illustre penna del relatore Dott. Scoditti, specifica a chiare lettere quando, nell’ambito dello svolgimento di attività sportiva, la lesione subita dall’atleta possa essere considerata un illecito civile.
Dopo l’illustrazione del solco penalistico e civilistico della materia, viene affermato, giustamente, che nelle attività caratterizzate da violenza e da contatto fisico, sebbene venga violata una regola del gioco, ciò non integra in re ipsa l’illecito civile punibile ai sensi dell’art. 2043 c.c. Sussiste responsabilità ai sensi civilistici, difatti, qualora l’azione lesiva sia palesemente sproporzionata rispetto alle caratteristiche dell’attività sportiva concretamente scolta.
Ciò si pone in allineamento ad altri precedenti dettati in tema di infortunio sportivo, non essendo rilevante la differenza tra allenamento e attività agonistica.
Avv. Emanuela Foligno
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