Infortunio sul lavoro e responsabilità contrattuale della datrice

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Diritto e obbligo, l'accesso ai treni e il dialogo fra diritti umani

Accolto il ricorso di un macchinista che chiedeva di essere risarcito per un infortunio sul lavoro invocando la responsabilità contrattuale della datrice

Si era visto rigettare, in sede di merito, la domanda di risarcimento del danno cagionato da infortunio sul lavoro, deducendo, ai sensi dell’art. 2087 cod. civ. la responsabilità contrattuale della datrice di lavoro. L’uomo, macchinista dipendente di Trenitalia s.p.a., era stato colpito all’occhio destro da schegge metalliche prodotte dalla frenatura del rotabile mentre era in attesa, sul marciapiede di un binario, di prendere la guida di un treno.

La decisione della Corte di appello era stata fondata sulla carenza di allegazioni in domanda relativa alle condotte commissive ed omissive necessarie a configurare l’inadempimento datoriale; il difetto di allegazione, secondo il giudice di appello, discendeva dalla stessa dinamica dell’infortunio che si era verificato mentre il danneggiato si trovava sul marciapiede del binario, al di là dell’area di sicurezza delimitata dalla linea gialla e quindi esposto ad un rischio comune a tutti i viaggiatori in sosta sulla banchina e non ad un rischio tipico dell’attività di condotta dei locomotori, con conseguente impossibilità per Trenitalia di approntare dispositivi di protezione a riguardo.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, il ricorrente censurava la sentenza impugnata per avere, in contrasto con i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, affermato l’onere del ricorrente di specificare le condotte omissive e commissive configuranti inadempimento della società datrice all’obbligo di sicurezza imposto dall’art. 2087 cod. civ.

Gli Ermellini, con la sentenza n. 29909/2021, hanno effettivamente ritenuto di aderire alle argomentazioni proposte.

Costituisce acquisizione consolidata – hanno chiarito dal Palazzaccio – la natura contrattuale della responsabilità incombente sul datore di lavoro in relazione al disposto dell’art. 2087 cod. civ., norma di chiusura del sistema di prevenzione, operante cioè anche in assenza di specifiche regole d’esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, ma volta a sanzionare, anche alla luce delle garanzie costituzionali, l’omessa predisposizione di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l’integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza e di indagare sull’esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico.

In base alla giurisprudenza di legittimità, il contenuto dell’onere di allegazione del creditore è limitato alla indicazione della fonte dalla quale scaturisce l’obbligo, del termine di scadenza e alla allegazione dell’inadempimento.

In relazione a tale ultimo profilo, l’unico rilevante nella fattispecie in esame, occorreva tuttavia considerare che poiché l’inadempimento esprime la qualificazione giuridica di una determinata condotta, commissiva o omissiva, adottata in violazione di un obbligo preesistente, tanto comporta che la relativa allegazione debba modularsi in relazione alle caratteristiche ed al contenuto di tale obbligo ed alla conseguente identificazione della condotta che nello specifico ne ha determinato violazione.

Tale esigenza non pone particolari problemi in presenza di un obbligo il cui contenuto sia già nella relativa fonte chiaramente individuato sotto il profilo della specifica condotta del debitore – commissiva o omissiva- che ne costituisce adempimento, mentre qualora la fonte non identifichi in maniera specifica tale condotta, il creditore della prestazione che agisce, come nel caso di specie, per il risarcimento del danno, non può sottrarsi all’onere della puntuale identificazione del comportamento che la controparte avrebbe dovuto tenere.

E così, nel caso dell’art. 2087 cod. civ., che pone un generale obbligo di tutela dell’integrità fisica e della personalità morale del lavoratore, senza ulteriori specificazioni in merito alle condotte omissive e commissive destinate a sostanziarlo, l’allegazione dell’inadempimento datoriale richiederà, a seconda delle concrete circostanze e della peculiarità e complessità della situazione che ha determinato la esposizione a pericolo del lavoratore, causalmente collegata al danno sofferto, la individuazione delle misure di prevenzione che il datore di lavoro avrebbe dovuto adottare al fine di evitare la lesione del bene tutelato.

In altri termini, l’onere di individuazione delle condotte che la parte datrice avrebbe dovuto tenere sarà tanto più pregnante laddove la situazione rappresentata, per le sue caratteristiche di complessità o particolarità, non consenta di individuare con immediatezza possibili condotte datoriali, commissive o omissive, astrattamente riconducibili alla violazione dell’obbligo di sicurezza.

In questa ottica veniva a collocarsi l’affermazione del giudice di legittimità secondo la quale in tema di responsabilità del datore di lavoro per violazione delle disposizioni dell’art. 2087 cod. civ., la parte che subisce l’inadempimento non deve dimostrare la colpa dell’altra parte – dato che ai sensi dell’art.1218 cod. civ. è il debitore-datore di lavoro che deve provare che l’impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della stessa o comunque il pregiudizio che colpisce la controparte derivano da causa a lui non imputabile – ma è comunque soggetta all’onere di allegare e dimostrare l’esistenza del fatto materiale ed anche le regole di condotta che assume essere state violate, provando che l’asserito debitore ha posto in essere un comportamento contrario o alle clausole contrattuali che disciplinano il rapporto o a norme inderogabili di legge o alle regole generali di correttezza e buona fede o alle misure che, nell’esercizio dell’impresa, debbono essere adottate per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Tuttavia – ha rimarcato la Cassazione – laddove la concreta situazione di fatto descritta dal lavoratore, sulla base della quale questi assume la violazione dell’obbligo di sicurezza, si presenti priva di particolari profili di complessità e cioè tale da consentire in maniera agevole, la individuazione delle condotte che astrattamente potevano pretendersi dal soggetto datore di lavoro o anche, specularmente, di escludere in radice la sussistenza di un siffatto obbligo, non vi è ragione di gravare il lavoratore di un onere di allegazione che nel contesto descritto finirebbe per assumere un rilievo meramente formalistico, in contrasto con la esigenza di effettività di tutela e con la stessa natura primaria degli interessi coinvolti.

Né, come affermato dalla Corte di merito, tale difetto di allegazione costituisce conseguenza della stessa dinamica dell’infortunio “essendo pacifico che il ricorrente sia stato colpito da una scheggia mentre si trovava sul marciapiede di un binario, al di là dell’area di sicurezza delimitata dalla riga gialla, e quindi esposto allo stesso rischio del comune viaggiatore in sosta sulla banchina”, in quanto la esposizione a rischio del comune viaggiatore rispetto al medesimo evento, non esclude la astratta configurabilità di un nesso specifico tra l’espletamento dell’attività di lavoro e l’infortunio occorso lavoratore, quale conseguenza della violazione dell’obbligo di sicurezza gravante sul soggetto datore di lavoro, da accertarsi sulla base di tutte le circostanze del caso concreto.

La redazione giuridica

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